29 Maggio 2010, 00:45
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Tra i padiglioni dello Zen, il cielo della sera scappa veloce. Devi acchiapparlo con uno sguardo più lesto, quando occhieggia tra le orrende costruzioni a forma di cubo che lo coprono quasi interamente. E’ una fortuna per il cielo, sotto non c’è niente da vedere.
Nulla, a parte una lunga fila di canadesi accatastate, luogo e riparo degli sfollati. Di coloro che vorrebbero occupare una casa, perché un tetto sulla testa non ce l’hanno, se non quello di plastica di una tenda. E’ l’accampamento della protesta che ha bloccato i lavori del cantiere e le assegnazioni secondo graduatoria. Che strana fissazione hanno gli sgomberati: infilare una chiave in una toppa ogni sera e rincasare. Ecco, rincasare, verbo dolce e suadente quasi come rinascere. Chi rincasa già abitualmente non può comprendere la necessità acuta. E’ lontano da qui. Generalmente, i “rincasanti” stanno dalla parte della legge. Giusto, per carità. Invocano il pugno di ferro e il massimo ordine pubblico. Il popolo delle canadesi si è guastato il fegato con una vita misera, costellata di ostacoli. situazioni talvolta non limpidissime, peccatucci. Sul punto sono molto meno intransigenti. Intuiscono un principio, anche se magari non sanno esprimerlo: a che serve la legge senza la giustizia? Che razza di invenzione è? E senza giustizia, non c’è che la violenza, a braccetto con l’arbitrio.
Sulla porta del padiglione sorvegliato dai vigilantes, c’è Giovanni, detto ‘U Miricanu. Lo chiamano con una “inciuria” a stelle e strisce perché lui era nella Torri Gemelle, proprio l’undici settembre. Così racconta. Si è salvato per miracolo e non è diventato seguace di Bush, ma più semplicemente musulmano. L’esistenza di Giovanni si narra in un attimo. E’ una fuga continua, inseguitadalla povertà, circondata dal rumore dei progetti e sogni che crollano. Giovanni riconose il cronista: “Sei ingrassato”, denuncia. Invece l’Americano è rimasto magro come un chiodo. Una decalcomania della fame. Uno spot dello Zen e dei crolli.
E’ quasi notte nei padiglioni dell’Insula contesa, ormai celebre. Dario Pennino organizza la protesta. E’ un ragazzo attraversato da un fuoco visibile a occhio nudo. “Qui almeno il cielo si vede un po’ di più. Tutta questa zona dello Zen è coperta dal cemento. Il cielo non c’è”. E’ un caso, però potrebbe essere un espediente. Chi non ha cielo non ha nemmeno un’idea diversa dallo squallore incombente. La fila delle canadesi è addossata al muro. Spuntano mani e piedi dagli ingressi in penombra.
Se Dario è il leader politico, Vincenzo è il leader logistico della resistenza. La sistema sul campo. Dice Vincenzo: “Una gravidanza si è interrotta durante l’agitazione. Una ragazza si è rotta una gamba in uno sgombero. Siamo mangiati vivi dalle zecche. Per fortuna, gli scarafaggi ritardano”. Accanto a Vincenzo, un cosiddetto legittimo assegnatario. Commenta: “Non è vero che c’è una guerra tra poveri. Io sono con gli abusivi. Tutti hanno diritto a una casa”. Nel mazzo, non mancano le famiglie rom. “Non ci sono problemi di coabitazione – chiosa Vincenzo – noi non siamo razzisti”.
C’è un tavolino bianco, con una televisione con poca antenna. Tra i pallini dell’effetto neve si intravvede il sorriso di Paolo Bonolis. Una ragazza smanetta con un computer. Un ragazzo divora un piatto di pasta, panna e prosciutto. Vincenzo spiega: “Noi di qui non ce ne andiamo. Ci auguriamo che si possa trovare una soluzione. Al prossimo sgombero tutto lo Zen sarà con noi”. Non se ne vanno. Restano. E’ un promemoria.
La legge è legge. Qualcuno dovrà pur farla rispettare. Correttissimo. Tuttavia, questa legge palermitana che mette a confronto stridori di denti e sangue sputato non somiglia alla giustizia, perché nessuno ha davvero ragione.
Somiglia di più al destino atroce del defunto e compianto Gary Coleman, l’attore nano che dava le sembianze ad Arnold e soffriva ed era un rifiuto per la stessa malattia che gli permetteva la buona sorte di un ruolo di successo. Arnold fuori rideva, dentro piangeva. E come lui è la legge alla palermitana, un paradosso, una contraddizione. Fuori scintilla di codici e fermezza. Dentro è un insulto. In cima, in perfetta corenza col dolore del suolo, la beffa di un cielo che non c’è.
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29 Maggio 2010, 00:45