Estorsioni e minacce alle sorelle Napoli, processo senza colpevoli

Estorsioni e minacce alle sorelle Napoli, processo senza colpevoli

Le sorelle Irene, Marianna e Gioacchina Napoli
Imputati assolti. Due episodi prescritti. Il caso tenne banco nel salotto di Giletti

Tutti assolti perché il fatto non sussiste. Per due sole ipotesi di reato interviene la prescrizione. Il caso mediatico-giudiziario delle sorelle Napoli si conclude senza colpevoli. Simone e Giuseppe La Barbera, Liborio Tavolacci e Antonio Tantillo non sono responsabili di tentata estorsione aggravata, minaccia e calunnia (Giuseppe La Barbera rispondeva solo di questo reato) ai danni di Irene, Marianna e Gioacchina Napoli. La sentenza è del Tribunale di Termini Imerese.

Una sola tentata estorsione, contestata a Tantillo, risalente al 1998 è andata in prescrizione. Così come un episodio del 2014, di cui era imputato Giuseppe La Barbera è andato prescritto dopo essere stato derubricato da tentata estorsione in tentata violenza privata. Gli imputati erano difesi dagli avvocati Antonio Di Lorenzo, Filippo Liberto, Raffaele Bonsignore e Salvatore Aiello.

La vicenda, rilanciata a livello nazionale dalla trasmissione “Non è l’Arena” su La 7, riguardava più episodi avvenuti a Mezzojuso, paese del Palermitano. Gli imputati, così sosteneva l’accusa, avrebbero tentato con le cattive di appropriarsi di terreni delle sorelle Napoli. Recinzioni tagliate, “invasioni di campo” di intere mandrie, minacce, trattori danneggiati, lanci di pietre, cani avvelenati: si disse che gli imputati erano diventati l’incubo delle sorelle Napoli.

Furono arrestati nel 2018 (e scarcerati dal Tribunale del riesame) perché avrebbero reso un inferno la vita delle tre donne proprietarie di un terreno a Corleone che da oltre un decennio denunciano intimidazioni e minacce per costringerle a cedere l’attività agricola di produzione di foraggio e cereali.

La storia delle sorelle Napoli negli anni è diventata un intrigo mediatico-giudiziario. Il Consiglio comunale fu sciolto per mafia. Il sindaco Salvatore Giardina fu costretto a lasciare la fascia tricolore. Uno dei motivi del commissariamento deciso dal consiglio dei ministri (il titolare del Viminale, Matteo Salvini, mandò gli ispettori in Sicilia) fu l’accusa mossa a Giardina di avere partecipato ai funerali del capomafia don Cola La Barbera. Il primo cittadino in diretta Tv non smentì l’episodio del 2006, ma solo perché non se ne ricordava.

“In quel momento fui preso alla sprovvista – disse il sindaco – ed essendo una persona che partecipa a tutti i funerali non seppi rispondere adeguatamente. Ma poi facendo mente locale posso affermare con certezza che nel giorno della tumulazione di don Cola, non ero a Mezzojuso”. Ci fu un duro scontro fra Giletti e il sindaco.

Il collegio difensivo produsse una decina di cartelle cliniche del centro di fisioterapia gestito da Giardina a Villafrati. Si trattava di cartelle, firmate dall’ex sindaco in quel giorno come nei precedenti e nei successivi, in un orario compreso fra le 15 e le 19. Il funerale di Cola La Barbera si svolse di pomeriggio. Ecco perché Giardina non poteva trovarsi in paese.

Alla fine il Tribunale di Termini Imerese stabilì che Giardina era incandidabile non per la presenza indimostrabile al funerale, ma per una sorta di passività di fronte all’ingerenza mafiosa in una serie di atti amministrativi in materia di rifiuti, tributi, organizzazione di eventi, feste e sagre.

“Siamo estremamente soddisfatti della decisione dei giudici del collegio termitano. Fin dall’inizio abbiamo sempre sostenuto e difeso nelle opportune sedi giudiziarie i nostri assistiti – spiegano gli avvocati Di Lorenzo e Liberto -. I processi si celebrano nelle aule di giustizia e non nel corso di trasmissioni televisive. Oggi mettiamo la parola fine ad un incubo mediatico che ha creato notevoli disagi agli imputati, riscattandoli da un’accusa ingiusta nei loro confronti”.


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