06 Luglio 2009, 07:20
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ECONOMIA: erbacce tossiche
La famosa ripresa economica è pienamente scontata dai mercati finanziari. La maggioranza degli strateghi e degli economisti sembrano concordare sul fatto che l’economia americana si sta stabilizzando e inzierà a ripartire per la fine dell’anno, trascinando seco l’economia globale. Non a caso l’iperbole “grande depressione” che furoreggiava all’nizio dell’anno è stata ora sostituita da quella ormai divenuta mitica dei “germogli verdi”. Non passa giorno che qualcuno non identifichi un nuovo germoglio nascosto da qualche parte nel “giardino economico”; un marziano che si limitasse ad osservare i titoli di testa nei mass-media, penserebbe che i geni della comunità finanziaria sono in realtà degli esperti in orticoltura!
Non è una novità. Ogni boom indotto dall’espansione creditizia è stato accompagnato da qualche brillante spot pubblicitario, e i “germogli verdi” di Bernanke si iscrivono nella tradizione. A metà anni 90 , quando i mercati asiatici sembravano in piena espansione si parlava di “tigri asiatiche”; a fine anni 90 la bolla sui tecnologici fu salutata come la “nuova éra”, definita un “salto paradigmatico”. Più di recente per il boom di Cina ed India è stato coniato il termine di “Chindia express”. Chi ha qualche capello bianco e un pò di memoria, sa come sono andate a finire le cose, sempre. Quante sciocchezze!
Tornando alla ripresa prossima ventura, sono convinto che i cosiddetti “germogli verdi” siano solo il frutto delle condizioni di eccesso raggiunte durante il crash dello scorso autunno, e della spropositata reazione panicale delle banche centrali che hanno letteralmente inondato il mondo con trilioni di nuova moneta. Così, il recente rimbalzo delle borse e delle obbligazioni corporate (anche di bassa qualità) è stato causato dalla perdita di valore delle monete, cioè dal declino del potere di acquisto della liquidità. Niente a che vedere con un sostenibile miglioramento dell’economia globale. Quest’ultima, piaccia o non piaccia ai venditori di pubblicità che insieme ai consumi vedono declinare i propri fatturati e conseguenti profitti, è sempre molto debole ed il peggio deve ancora venire. Essendone profondamente convinto, incoraggiato dalle esatte previsoni fin qui elaborate con anni di anticipo, fino a quando qualche editto o qualche ronda non mi farà “chiudere la bocca” con la forza, continuerò a scriverlo.
Quello che prima della crisi era vero solo per gli USA adesso lo è, ancor di più per gli USA, ed anche per il resto del mondo occidentale: economia iperindebitata, famiglie che stringono la cinghia, mentre la disoccupazione sale ovunque implacabile, come si evince dai dati di questa settimana. Andando all’epicentro del sisma, il mercato immobiliare americano, si vede che resta molto debole, mentre altri cracks stanno iniziando ad emergere nel settore non residenziale. L’attività economica nel “vecchio mondo” è patetica. La Gran Bretagna è massacrata dalla crisi finanziaria, la “City of London” è ben lontana dai suoi giorni di gloria, e a peggiorare il quadro ci si mette anche il mare del nord che sta emettendo sempre meno petrolio: dopo 20 anni i sudditi di Sua Maestà sono diventati importatori netti. Nel continente, la Spagna -dove c’era stata una bolla immobiliare di tipo anglosassone- è in caduta libera; l’Italia si sta barcamenando solo perchè era già stagnante da tempo, ma è comunque condannata dall’enorme debito pubblico, grazioso lascito ereditario dei vari andreotti, craxi e amici di merende dei ruggenti anni 80; la Germania è in recessione profonda e si trova sotto all’incubo della crisi finanziaria dell’est europa che aleggia più minacciosa che mai (il fatto che sia sparita dai mass-media non significa che non c’è più, anzi). In Asia le cose sembrano andare meglio che altrove, grazie alla posizione creditoria netta simboleggiata dalle enormi riserve valutarie, e dai bassi debiti; ma , dopo anni di una politica miope, l’economia asiatica dipende pesantemente dalle esportazioni all’Occidente, e sta soffrendo anche lei: nel primo trim. rispetto a 12 mesi prima la produzione è scesa del 10% ad Hong Kong, Taiwan e Singapore, per non parlare di Giappone e Cina. E non c’è solo il collasso delle esportazioni: il problema maggiore è l’eccesso di capacità produttiva che non promette nulla di buono per l’avvenire. Infatti la teoria insegna che una ripresa economica genuina si può avere solo se i consumi superano la capacità produttiva esistente, perchè le imprese fanno gli investimenti per ampliarla e così poter stare dietro ai consumi: è in questo processo che si genera crescita economica. Attualmente, la situazione è opposta, dopo anni e anni di bolla creditizia che ha attizzato la creazione di una capacità produttiva eccessiva. Il mondo infatti sta operando ben al disotto del potenziale esistente, negli USA siamo a meno del 70%, globalmente non si arriva all’80%, ed il 20% di capacità inutilizzata a livello mondiale, non è poco. Un aumento dei consumi tale da poter colmare questo divario è impensabile, perchè domanda privata e pubblica devono essere contenute essendo già oberate dall’iperindebitamento. In queste condizioni è inimmaginabile una ripresa economica sostenibile e duratura.
Ma poichè la madre degli imbecilli è sempre incinta, i governi in tutto il mondo cercano di inseguire questo miraggio irraggiungibile, aumentando sempre più spesa pubblica e conseguente indebitamento. I politici, che non sono certo i migliori allocatori dei capitali, spenderanno trilioni in progetti decisi da loro, e si finanzieranno o assorbendo i risparmi privati e degli asiatici fin quando glieli daranno, oppure stampando moneta (già adesso è in essere una combinazione di queste due fonti). Quale che sia l’origine di questi finanziamenti, ogni eventuale fase di ripresa economica comporterà inflazione (se non al consumo, a livello di materie prime)e sarà di breve durata, perchè giocoforza i tassi d’interesse dovranno risalire mettendo nuovamente in crisi una crescita basata esclusivamente sul denaro gratuito. Certo, la Fed ha continuato a dire fino a questo martedì (Yellen) che i tassi ufficiali non verranno alzati per anni, perchè si vuole evitare l’errore del 1937, quando al rialzo dei tassi post ripresa seguì immediatamente un altra ricaduta nella recessione. E non ci sono dubbi che così faranno: loro auspicano l’iperinflazione, anche se non possono dirlo esplicitamente; più precisamente auspicano che la gente creda nell’iperinflazione, così da anticipare gli acquisti e far scattare la ripresa; poi se non si riuscirà a fermarla tanto meglio per i grandi debitori, a cominciare dai governi. Però esistono anche i tassi a lungo termine sui quali da tempo la Fed dovrebbe avere constatato la sua impotenza (almeno dall’epoca dell’enigma di Greenspan). E quando il mercato inzierà a credere nell’iperinflazione, per quanta moneta la Fed pensi di stampare a sostegno delle nuove emissioni di titoli pubblici, si vedrà come sarà impossibile impedire l’impennata dei rendimenti (e la caduta del dollaro), che sono quelli che più contano per l’economia(tramite i tassi sui mutui). Dunque il finale sarà atroce: iperinflazione+grande depressione, una superstagflazione senza precedenti, che pochi arrivano anche solo a concepire.
Prima ancora di questa tanto banale quanto certa prospettiva, implicita nella logica perversa sposata dai geni che ci comandano, c’è un altro problema di cui poco si parla. Ricordo, per introdurlo, che la crisi attuale è stata innescata dallo scoppio della bolla immobiliar- ipotecaria USA, incoraggiata dalla falsa credenza che i prezzi delle case non scendono mai, per cui milioni di persone si erano imbottiti di vari tipi di mutui:
a. Prime – con buon merito creditizio
b. Subprime – privi di merito creditizio
c. Alt-A – reddito e garanzie supposte e non dimostrate
d. Option Adjustable Rate Mortgages – a rate variabili, anche minime per i primi anni
Dopo lo scoppio dei subprime, tocca adesso agli Alt-A e agli Option Adjustable Rate Mortgages. Gli Alt-A sono quel tipo di mutui concessi anche a coloro che non dispongono di reddito o di garanzie patrimoniali documentati (ma solo dichiarati: una specie di subprime un pò meno sub). Le Option Adjustable Rate Mortgage, sono quei mutui in cui il debitore sceglie quanto ripagare al mese: solo gli interessi, oppure anche questi solo parzialmente; naturalmente ciò che non viene pagato va ad aggiungersi al debito iniziale. Scaduta l’opzione dei primi anni, il mutuatario si ritrova a dover pagare un debito che nel frattempo è cresciuto mentre il prezzo della casa è diminuito. Ovvio quindi che preferisca farsi pignorare l’immobile, soprattutto se i tassi d’interesse vengono aumentati come da clausole implicite in questo tipo di mutui. E poichè è stata la valanga di pignoramenti che ha causato la crisi creditizia, sebbene il grosso delle sofferenze sui subprime sia già saltato fuori, adesso tocca a svariate centinaia di miliardi di Alt-a e di Option Adjustable Rate Mortgages che sono in scadenza tra metà 2009 e il 2011. Si illude chi pensa che le banche americane, e i possessori di titoli ipotecari in tutto il mondo, abbiano finito di soffrire. Anche perchè l’amministrazione Obama, a parte usare i soldi dei contribuenti per salvare le banche, non ha fatto molto per aiutare i sottoscrittori di Alt-a e di Options, ristrutturandone la montagna di debiti.
Per cui è solo questione di mesi: i mass-media passeranno dall’ espressione “germogli verdi” a quella di “erbacce tossiche”. Il secondo tempo della crisi sarà molto più pesante del primo, in tutto il mondo. I governi e le banche centrali si sono già sparate il grosso delle cartucce , ed il colpo alla fiducia della maggioranza dei creduloni che si sono bevuti la storiella della “fine della crisi”, sarà ben più forte.
MATERIE PRIME: scendono
L’oro scende dell’1% (+5,5% da inizio anno), l’argento -5%(+20%). Fermo il rame +0%(+63%),scende il petrolio -3,5% (+50%) crolla il gas naturale -12% (-39%). L’indice generale CRB perde 2% (+7,5%). La discesa è interamente imputabile alla correlazione con le borse e quindi alle attese sulla futura congiuntura economica. Nel frattempo il comparto resta in surplace per quanto concerne il cruciale legame con il dollaro, la cui sorte è sempre al centro delle preoccupazioni generali. Questa settimana ad esempio la Francia, riconoscendo il diritto dei paesi emergenti ad interrogarsi sulla valuta di riserva internazionale, ha chiesto un coordinamento globale , a pochi giorni dal G8 cui parteciperanno anche rappresentanti cinesi ed indiani. La Russia sostenitrice della creazione di un mix di valute in sostituzione del dollaro come riserva , differenziandosi dalla Cina che ha proposto di affidare tale ruolo ai diritti speciali di prelievo del Fmi, incontrerà Obama subito dopo il G8. E questa settimana si sono fatti sentire anche gli indiani che hanno 264 miliardi di riserve quasi totalmente in dollari (“è un problema per noi”). I cinesi hanno inoltre comunicato di aver permesso alle proprie imprese di usare lo yaun negli scambi con i paesi confinanti, ed hanno fornito l’equivalente complessivo di un centinaio di miliardi di dollari in yaun ad Argentina, Belarus, Hong Kong, Indonesia, Malesia e Sud Corea tramite currency- swaps per espandere l’uso dello yaun.
Però, mentre tutto questo si muove sullo sfondo, il FMI ha comunicato che nel primo trim.2009 la quota in dollari delle riserve valutarie mondiale è aumentata al 65%, livello che non si vedeva dal 2007. Poichè nel primo trimestre le borse scendevano e il dollaro saliva per l’effetto bene rifugio, vuol dire che gli emergenti si sono accodati alla tendenza geenrale, invece di approfittare dell’occasione per ridurre il loro “problema”. E adesso, dopo che il dollaro nel secondo trimestre ha perso un buon 10% appresso al recupero delle borse, spuntano le lacrime di coccodrillo….
Si conclude con : petrolio a 66,7(agosto) gas naturale a 3,61(agosto) oro a 930(luglio) argento a 13,4(luglio) platino a 1186 (luglio) palladio a 252(settembre) rame a 229(luglio) soia a 1243(luglio) oro-petrolio a 14,1 petrolio-gas 18,5.
CAMBI: incertezza
L’indice del dollaro ha concluso la settimana all’insegna della forza: +0,8% a 80,45(-1,2% da inizio anno), ma non certamente per merito dei fondamentali. Come al solito è stata l’idiotica correlazione con l’avversione al rischio a spingerlo al rialzo, e ciò in seguito ai dati negativi sull’occupazione americana, che hanno innescato la caduta delle borse, e quindi paradossalmente rinforzato il dollaro. A giugno infatti, la contabilità ufficiale indica un accelerazione della perdita di posti di lavoro ben peggio delle attese a quota 467 mila unità. Nel frattempo il tasso di disoccupazione è salito al 9,5% nuovo record, e la crescita dei guadagni orari medi è rimasta ferma a zero nel mese, portando la variazione annua al 2,7% il minimo da 4 anni. Questi dati implicano che non ci si può fare illusioni sulla crescita dei consumi nè (essendo circa il 70% del PIL) sulla crescita economica nel suo complesso.
L’euro dal canto suo conclude poco variato contro il dollaro, con il mercato che resta intrappolato in uno stretto range ormai da molto tempo. I dati Usa lo hanno solo portato appena un pelo sotto quota 1,40 anche perchè sono stati contro bilanciati dalla negatività delle vendite al dettaglio nella zona euro, scese a maggio ben più del previsto, ad un tasso annuo di -3,3%; inoltre la Bce giovedì non ha toccato i tassi ma ha lasciato la porta aperta ad una futura riduzione, senza dare indicazioni particolari, bensì tenendosi sul vago su tutti i fronti, segno che non sa che pesci pigliare stretta com’è tra le opposte pressioni anglosassoni e teutoniche. Comunque se l’insieme di BCE, dati macro e discussioni sul ruolo del dollaro non è stato sufficiente a far uscire l’eurodollaro dal suo range, a breve termine non si vede cosa possa riuscirci, probabilmente solo un crollo della borsa. Infatti la correlazione , anche con l’andamento delle materie prime, è di nuovo ai massimi record, e non è un caso se oro, petrolio, borse e cambi sono rimasti a giugno tutti confinati in relativamente contenute bande di oscillazione. Più in generale ciò ha riflesso l’incertezza prevalente sui mercati tra l’attesa dei germogli verdi e il timore di vedere spuntare erbacce tossiche.
OBBLIGAZIONI: ancora comprate
Negli USA i futures sul tasso a tre mesi scadenza dicembre 2009 quotano 0,89% (-1 cts. rispetto a 7 giorni fa), il libor a tre mesi è al 0,56%(-4 cts.); i bills a 3 mesi allo 0,15%(-3 cts.). I rendimenti dei bonds a 2 anni a 0,98%(-5 cts.); a 5 anni al 2,42%(-9 cts.); il decennale al 3,50% (-3 cts); a 30 anni al 4,32%(-0 cts.). Si irripidisce quindi la curva, perchè i brevi scendono più dei lunghi, beneficiando la posizione in asset: sale il differenziale tra 2 e 10 anni a 252 (+2 cts.), e quello tra 5 e 10 a 108(+6 cts). Il calo dei rendimenti che si osserva è coerente con il peggioramento del sentiment sulle attese di crescita e quindi con la discesa delle borse. Il problema della solvibilità resta accantonato, in scia alle aste postive della scorsa settimana.
Il calo dei rendimenti di questa settimana si è trasmesso ai tassi sui mutui: scendono il tasso fisso trentennale (-8 cts. al 5,34%) il quindicennale(-1 cts. al 4,86) e il tasso variabile ad un anno (-2 cts. al 4,93%). Misti i differenziali sui bonds aziendali, fermi i rendimenti degli obbligazionari dei paesi emergenti con i bonds brasiliani al 6% sul decennale, in ribasso il rendimento del decennale giapponese (1,33).
Scendono ancora in Europa i tassi euribor in scia all’immissione di lqiuidità orchestrata dalla BCE: ad un mese a 0,70% (-8 cts.) a tre mesi a 1,06%(-6 cts.) ad un anno a 1,47%(-4 cts.). I rendimenti sui bund tedeschi sul 2 anni scendono a 1,24%(-8 cts.) e sul decennale flettono a 3,34% (-5 cts.) per cui sale il differenziale tra 2 e 10 anni a +210 cts. ; il differenziale con i bonds USA sul due anni scende lievemente a +26 , mentre sul decennale si amplia appena a +16 cts. ma a favore del bond americano.
BORSE: situazione interessante
Una settimana fa concludevo :”Volendo esagerare, posso immaginare che la borsa resista fino a martedì ultimo del mese, e poi da mercoledì primo luglio parta la discesa che riceverebbe la spinta decisiva dai dati occupazionali di giovedì.”
L’esagerazione si è rivelata appropriata: nonostante un inatteso calo della fiducia dei consumatori, e la conferma che il settore immobiliare e quello automobilistico restano nei guai, solo parzialmente compensati dagli indici manifatturieri un pò meglio del previsto, c’è voluta la delusione dei dati occupazionali per infliggere la botta decisiva alla borsa, che alla fine si è incanalata nel profilo discendente qui da tempo conteggiato.
Ma prima di aggiornare i conti, qualche considerazione di natura contestuale. Siamo infatti in una situazione interessante per quanto concerne l’azionario mondiale. Dopo più di un anno di ribasso, molte borse soprattutto dei paesi periferici sono salite in modo stupefacente: India (+94%), Brasile (+87%), Cina (+86%), Hong Kong (+69%), mentre lo sp500 è salito fino a + 43%. La maggior parte degli analisti sono divenuti ottimisti, e prevedono un nuovo mercato rialzista di lungo termine; una robusta minoranza però è rimasta scettica, sostenendo che i fondamentali non supportano una crescita economica sostenibile. L’evidenza puramente tecnica può dare ragione a entrambe le opinioni, a secondo di quale mercato si guardi. Quelli sopra menzionati, indubbiamente , danno ragione ai rialzisti. Ma , le borse di Australia, Canada, Germania, Giappone, e le anglosassoni, ancora mostrano un evidenza tecnica a favore della tesi che il trend di fondo resta ribassista. Per quanto concerne gli USA , che nonostante tutto restano la borsa guida del mercato azionario mondiale, l’evidenza mostra come a ottobre 2007 si sia completato un rialzo secolare iniziato nel 1932; e anche se si vuole partire da più vicino si osserva la fine del rialzo ciclico iniziato nel 1974. La Storia dimostra che quando si chiudono dei cicli così lunghi, ci vogliono anni prima che si possa esaurire il ciclo opposto. La caduta intercorsa tra ottobre 2007 e marzo 2009 è durata appena 17 mesi: se fosse finita a marzo 2009 vorrebbe dire che si è trattato di un semplice incidente di percorso all’interno del rialzo ciclico e secolare. Francamente occorre avere le fette di prosciutto sugli occhi per credere a una simile tesi. Dunque, anche se il rimbalzo in corso non dovesse essere già finito, resta forte e chiara l’indicazione che prima o poi finirà e si torneranno a veder nuovi minimi assoluti (almeno 400 di sp500).
Zoommando al breve termine, la chiusura sotto quota 900 di questa settimana rende ben probabile che sia inizata la terza onda del ciclo ribassista partito da quota 956 il 12 giugno. La prima onda si è conclusa il 23 giugno a 889 (durante questo periodo indici settoriali chiave, come quello immobiliare e quello bancario, e indici esteri come il Dax e il Ftse hanno confermato di essere in un trend ribassista). Poi c’è stata la seconda onda di rimbalzo durata fino al 1 luglio e arrivata a 932 ritracciando il 61% della caduta da 956 a 889. Dopodichè sembra quindi partita la terza onda che ha già fatto 36 punti ed ha un obiettivo minimo di 67 punti quindi al disotto del supporto chiave di 876, una cui rottura rende molto probabile un estensione fino a 850. Poichè le prime due onde sono durate rispettivamente 11 e 7 giorni, la terza dovrebbe durare circa due settimane arrivando a 850 intorno a metà luglio, e ciò implica che le prime trimestrali in arrivo già dall’ 8 luglio risultino deludenti.
Per la prossima settimana, il declino da 932 a 896 è probabile sia seguito da un rimbalzo (la seconda della terza) fino a circa 910, già lunedì-martedì, e poi dal ribasso impulsivo (la terza della terza) fino ad almeno testare quota 876, livello su cui ci si potrebbe trovare esattamente venerdì prossimo.
Anche prescindendo da un interpretazione “ondosa”, il grafico dello sp500(come quello del Dow e di altre borse) mostra la formazione di una classica figura ribassista, nota come “testa e spalle” che ha “il collo” a quota 880. La perforazione di questo livello di norma innesca un ribasso pari alla distanza tra la testa e le spalle ; quindi circa 75 punti, e proietta a quota 800 (dove conduce anche il conteggio “ondoso” alla fine della quinta onda di questo primo movimento ribassista iniziato a 956) che coincide con un ritracciamento pari al 50% di tutto il rialzo iniziato a marzo.
L’alternativa (ce n’è sempre una, ricordo che si ragiona in termini probabilistici) riposa sulla capacità di tenuta del supporto 875-880 che potrebbe prolungare anche di un altro mese la fase di range, con tetto a 930-950, rimandando il ribasso ad agosto. Significherebbe che le trimestrali sorprendono in positivo e alimentano l’illusione dei più sui germogli verdi.
Si conclude con Dow a 8280 -1,9% ( -6% da inizio 2009) SP500 a 919 -2,5%(-0%) Nasdaq100 a 1446 -2,3%(+20%)Russell -2,1%(+0,5%) Trasporti -1,3%( -9%) utilities -1,4% (-6%) semiconduttori -2,5% ( +21%) Broker -4%( +23%) Banche -5,4%(-23%).
Il rapporto tra put e call schizza a 1,06 e l’indice della volatilità VIX sale a 28.
Il Nikkey giapponese a 9816 -0,6%(+11% da inizio 2009), il Dax a 4708 -1,5%(-2,5%) il cac francese a 3119, il footsie inglese a 4236, ftsemib italia a 18942. Tra gli emergenti: Brasile -4%(+33%) Russia -5% (+52%) India +0%(+53%) Cina +1,5%(+61%).
PREVISIONI: iniziano le trimestrali
Lunedì si parte con l’ISM del settore servizi americano, che è atteso in lieve miglioramento a 46 da 44 e se così fosse la borsa potrebbe rimbalzare un pò; ma come l’indice di fiducia dei consumatori ha deluso nella settimana appena conclusa, riscendendo sotto quota 50 dal 55 di maggio, lo stesso potrebbe succedere all’ISM, accentuando la caduta della borsa e delle materie prime, favorendo per contro rendimenti e dollaro. Martedì decisione sui tassi australiani, ordini industriali tedeschi, e molti dati nipponici a cavallo della notte, mentre mercoledì sul fronte europeo usciranno le revisioni del PIL nel primo trimestre: se al ribasso, possono indebolire l’euro.A borsa chiusa mercoledì sera si darà il via alla attesissima stagione delle trimestrali aziendali relative al secondo trimestre e come di consueto sarà ALCOA a parlare.
Giovedì in Europa vari dati e bollettino della BCE, mentre negli USA oltre ai sussidi settimanali ai disoccupati sarà il turno delle scorte all’ingrosso, attese scendere per il nono mese consecutivo indicando che le imprese continuano a tagliare le loro scorte in previsione di una domanda debole nel futuro. Venerdì, dopo i dati di alcuni paesi europei sulla produzione industriale, arriva il deficit commerciale USA che potrebbe a maggio essere tornato sopra quota 30 miliardi, soprattutto a causa della contrazione dell’export. Infine si conoscerà anche la prima stima dell’indice di fiducia della University of Michigan atteso mantenersi sul livello raggiunto a giugno, e che potrebbe quindi sorprendere al ribasso se conferma quanto indicato dalla sopra citata fiducia dei consumatori misurata dal Conference Board.
Nel complesso, una settimana che potrebbe anche mandare tutti i mercati(strettamente correlati come sono per ora) al di fuori dei recenti intervalli di oscillazione in essere da oltre un mese.
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06 Luglio 2009, 07:20