25 Ottobre 2023, 09:22
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MILANO – È in corso un’ operazione dei carabinieri di Milano e Varese che sta portando alla esecuzione di undici ordinanze di custodia in carcere, al sequestro di beni per un valore complessivo di oltre 225 milioni di euro e alla notifica dell’avviso di conclusione indagini nei confronti di 153 indagati. Si tratta di un’indagine coordinata dalla Dda che riguarda un contesto criminale attivo prevalentemente nel territorio lombardo, formato da persone legate alle organizzazioni di stampo mafioso cosa nostra, ‘ndrangheta e camorra. Sono state effettuate 60 perquisizioni con l’impiego di oltre 600 carabinieri sull’intero territorio nazionale.
Si tratta, nella definizione degli inquirenti, del cosiddetto “sistema mafioso lombardo” che “gestisce risorse finanziare, relazionali ed operative, attraverso un vincolo stabile tra loro caratterizzato dalla gestione ed ottimizzazione dei rilevanti profitti derivanti da sofisticate operazioni finanziarie realizzate mettendo in comune società, capitali e liquidità”.
Nessun “patto” tra le tre mafie, Cosa Nostra, ‘ndrangheta e camorra in Lombardia, così come viene contestato nella nuova inchiesta della Dda milanese, smontata, invece, dal gip di Milano Tommaso Perna che ha respinto oltre 140 richieste di arresti per altrettanti indagati. Il giudice, infatti, ha disposto il carcere solo per 11 persone, ma non per associazione mafiosa e solo per altri reati. La Dda, dunque, ha deciso, comunque, di chiudere le indagini, contestando sempre “l’alleanza” tra le tre mafie e di fare ricorso al Riesame per le richieste di custodia cautelare respinte.
Della “alleanza” tra le mafie in Lombardia aveva parlato, lo scorso agosto, anche il procuratore di Milano Marcello Viola durante un’audizione alla commissione antimafia. Recenti inchieste, aveva detto, “hanno evidenziato accordi stabili e duraturi tra ‘ndrangheta, criminalità siciliana e quella di stampo camorristico”, fenomeno questo “particolarmente allarmante in quanto” dà solidità a “una rete trasversale” che opera soprattutto nel “settore del riciclaggio”. Dinamiche mafiose che, aveva spiegato Viola, “definiscono un network che si salda su interessi concreti”.
La nuova inchiesta, condotta dai carabinieri e coordinata dal pm della Dda Alessandra Cerreti, verte proprio su questo presunto “patto” tra mafie, ma le accuse di associazione mafiosa sono state tutte smontate nell’ordinanza del gip Perna. La Dda milanese ora punta tutto sul Riesame e proverà a portare a processo gli oltre 150 indagati, dopo aver chiuso le indagini con atti notificati oggi, contestualmente all’esecuzione degli 11 arresti. L’ordinanza del gip era stata depositata nelle scorse settimane e gli inquirenti, però, hanno deciso di ricorrere prima al Riesame e di chiudere le indagini contestualmente all’esecuzione dei pochi arresti accolti dal giudice. Nell’ultima relazione semestrale la Direzione investigativa antimafia aveva scritto, tra l’altro, che in Lombardia i “sodalizi mafiosi sarebbero ‘scesi a patti’ per assicurare alle aziende affiliate una sorta di rotazione nell’assegnazione dei contratti pubblici, pilotando le offerte da presentare e contenendo anche le offerte al ribasso degli oneri connessi”.
Tra gli oltre 150 indagati nell’inchiesta della Dda di Milano sul “sistema mafioso lombardo” figura anche Paolo Aurelio Errante Parrino, che, secondo gli inquirenti, sarebbe stato il “punto di raccordo” tra il “sistema mafioso” in Lombardia, ossia il presunto accordo tra le tre mafie, e Matteo Messina Denaro, morto lo scorso settembre. Parrino per gli inquirenti avrebbe trasferito al boss “comunicazioni relative ad argomenti esiziali” mentre era latitante. Lo si legge nell’ordinanza del gip di Milano Tommaso Perna che, però, ha respinto oltre 140 richieste d’arresto, tra cui quella di Parrino. Parrino, secondo la Dda milanese, sarebbe il “referente nell’area lombarda della Provincia di Trapani, con specifico riferimento al Mandamento di Castelvetrano”, riconducibile “all’ex latitante Messina Denaro”, e uno dei componenti “del sistema mafioso lombardo” oltre che già condannato in passato per associazione mafiosa. Sarebbe stato Parrino, secondo le indagini dei carabinieri, “il punto di riferimento del Mandamento di Castelvetrano nel Nord Italia”, mantenendo “i rapporti con i vertici di Cosa Nostra, in particolare, con Messina Denaro”, latitante “sino al 16 gennaio 2023, rappresentando il punto di raccordo tra il sistema mafioso lombardo e l’ex latitante, a lui trasferendo comunicazioni relative ad argomenti esiziali per l’associazione”. Avrebbe anche mantenuto e “curato i rapporti con la famiglia dell’ex latitante, vertice di Cosa Nostra”, occupandosi di “qualsiasi necessità del nucleo familiare da soddisfare in Nord Italia, compreso un adeguato supporto logistico in caso di bisogno”.
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25 Ottobre 2023, 09:22