08 Ottobre 2017, 17:34
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CATANIA. “Ci impedivano di lavorare in ospedale, minacciandoci persino di morte. Alla fine per evitare problemi sono andato a lavorare a Giardini Naxos”. Così nell’aula bunker di Bicocca a Catania Giacinto Maggio, vice presidente dell”associazione “Insieme per vivere onlus”, ha descritto i propri rapporti con i fratelli Giuseppe e Salvatore Costa, due dei sette imputati del processo sulle presunte tentate estorsioni, aggravate dal metodo mafioso, subite da medici ma anche da titolari e dipendenti di associazioni e cooperative impegnate nel trasporto di pazienti all’ospedale Santa Marta e Santa Venera di Acireale.
Il testimone, l’ultimo della lista del pubblico ministero Alessandro Sorrentino, ha ripercorso i contrasti, le liti ed anche le aggressioni subite non solo personalmente nel 2008. In un’occasione, ha raccontato Maggio, la propria socia, recatasi al nosocomio acese per distribuire biglietti da visita, sarebbe stata aggredita e minacciata di morte. Nessuna denuncia però è stata sporta per paura di ritorsioni. Stessa sorte anche per un dipendente. L’unico modo per poter lavorare senza problemi nell’ospedale acese sarebbe stato quello di pagare una certa somma. Questo gli avrebbe riferito Salvatore Costa. Per rendere ancora più temibili le minacce, quest’ultimo gli avrebbe fatto i nomi di alcuni esponenti della criminalità organizzata locale. “Mi disse che dietro lui c’erano alcune persone del clan Santapaola – ha spiegato il teste in aula – Tra loro Camillo Brancato. Non so se fosse vero. Non l’ho mai visto in ospedale”.
E’ sulla credibilità del teste che il collegio difensivo punta il proprio controesame. Il passato del teste, condannato a due anni con sentenza irrevocabile nel 2006 per associazione mafiosa, viene a lungo scandagliato da Vincenzo Di Mauro, legale di Salvatore Costa, e da Giuseppe Passarello, difensore di fiducia di Giuseppe Costa. Emerge un’ulteriore condanna per falso. Giacinto Maggio avrebbe fatto circolare un’ambulanza con un tagliando assicurativo contraffatto. Una seconda condanna che sarebbe stata smentita poco prima del teste e che quindi minerebbe, per la difesa, la credibilità del testimone. Non solo. Durante il controesame di Nino Garozzo, codifensore di Giuseppe Costa, affiorano anche dei contrasti personali con i fratelli Costa. Maggio e i due imputati nel 2007 sarebbero stati sul punto di costituire insieme una nuova associazione. Ma qualcosa sarebbe andato storto e i tre si sarebbero lasciati con rancore.
Chiusa l’istruttoria dibattimentale, l’8 gennaio si procederà con la requisitoria del pubblico ministero e con le arringhe di parte civile e difesa.
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08 Ottobre 2017, 17:34