Minori davanti al giudice |“Il bambino al centro della legge”

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27 Novembre 2015, 10:19

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CATANIA – Come deve agire un giudice quando si trova ad ascoltare un minore? Come tutelarlo? E’ una materia complessa posta al centro ieri sera del convegno titolato “I minori davanti al giudice: contesi, abbandonati e in fuga dalla guerra”. Un conferenza densa di contenuti rappresentativa di una forte sensibilità sociale che l’Osservatorio nazionale sul diritto di famiglia , avvocati di famiglia della sezione catanese ha promosso. “Finalmente si parla di ascolto del minore, è un attenzione diversa e un approccio nuovo nei confronti del minore. Non si attenziona più unicamente solo ai suoi desideri ma anche ai suoi bisogni affettivi”, ha detto la moderatrice del convegno, l’avvocato Maria Stella Longhitano, componente del direttivo dell’Osservatorio nazionale. Tra i relatori presenti varie personalità del mondo giuridico e sanitario.

Il convegno si è infatti diviso in due parti: una prima dedicata alle normative in materia di abbandono in famiglia, mentre la seconda sugli aspetti che vede coinvolti psicologi e psichiatri nella tutela dei diritti del minore e per la valutazione della capacità genitoriale. “A tal proposito abbiamo – prosegue Longhitano – chiesto il supporto della neuropsichiatra Maria Costanzo, perché anche se spesso si è detto che il giudice debba ascoltare direttamente un minore poi in realtà il giudice delega sempre a dei consulenti l’ascolto, quindi a noi serve sapere da loro come viene visto questo ascolto. Quando poi un genitore risulta incapace da un punto di vista psicologico o psichiatrico noi giudici vogliamo capire come ci si deve comportare con un minore e come lui deve rapportarsi all’interno della sua famiglia”.

Il minore è ora, dunque, parte integrante delle procedure di giurisprudenza che lo riguardano. “ Il minore ha un ruolo centrale, – aggiunge l’avvocato – cosa che prima (sebbene ci fossero già determinati articoli del codice civile a sua tutela) non avveniva soprattutto in sede penale”. E sono tristemente tante le famiglie a cui sono stati tolti i bambini che vengono affidati poi ai servizi sociali e collocati nelle famiglie affidatarie. “Questi bambini – continua Longhitano – a volte non ritornano nelle famiglie di origine, accade quando per esempio esse non sono in grado di riaccogliere i figli a causa della presenza di problematiche gravi, psicologiche o d’indigenza. Ma nella famiglie affidatarie nasce un forte legame affettivo con il bambino, a tal punto da desiderare di volerlo adottare, (ogni qual volta ci sono i requisiti di adottabilità). Questo è stato per anni un diritto negato, ma la nuova normativa oggi invece lo consente alle famiglie che ne facciano richiesta”.

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Ma anche dietro i provvedimenti dei tribunali di affidamento di minori sembrano annidarsi venali sistemi di business. In particolare, quando i bambini vengono affidati alle comunità. Un problema che i giudici fanno emergere: “Purtroppo va detto anche questo: ci sono i città dove le comunità a cui vengono affidati i bambini percepiscono un contributo economico pari anche a 33 mila euro all’anno da parte dei comuni. Ho appurato di casi in cui bambini tolti alla famiglie poiché non potevano più pagare l’affitto per esempio, s’interessavano a prendere in carico il minore solo per intascare quel contributo. Sta nascendo un vero e proprio business – ribadisce – in cui a pagarne le conseguenza sono i minori, appunto. Alcune comunità infatti prendono in affido i bambini solo per poter usufruire del denaro ricavato, infischiandosene della crescita e dei bisogni di cui un bambino necessita”. Ma la nuova normativa in materia mira a colpire queste brutte pratiche. “ E’ una legge meravigliosa che speriamo venga appieno applicata”.

L’attuale giurisprudenza disciplina, dunque, le procedure di adottabilità del minore. La modifica del decreto ‘154 del 2013 sarebbe, secondo i giudici, tra le grosse novità in materia. Il Tribunale di Catania si muove seguendo una precisa prassi. E’ il presidente ad avviare le procedure di adottabilità per il minore; quest’ultimo viene affidato ai servizi sociali stante la sospensione della potestà genitoriale per condotte gravi. Si nomina un tutore a cui (quasi sempre un avvocato) spetta la tutela del bambino. “La cassazione – ha spiegato invece il giudice Umberto Zingales – con una sentenza del 2010 ha stabilito che i genitori e difensori possono partecipare a tutti gli accertamenti, andando tuttavia poi a modificare alcuni punti”. Ma il giudice Zingales poi si sofferma nuovamente sulle fasi di ascolto del minore. “Non nascondo la mia difficoltà a sentire i minori in cui c’è una situazione familiare delicata. Quando dall’ascolto del minore serve far derivare la soluzione del caso o quando c’è da stabilire se deve stare col padre o con la madre, o quando il bambino si rifiuta di stare con uno dei due genitori. Ebbene, in questi casi si rivela essenziale il ruolo ricoperto dei giudici onorari” – conclude il giudice. ”Un minore straniero non accompagnato deve godere dei medesimi diritti di un minore accompagnato”, è la precisazione invece dell’avvocato Antonietta Petrosino che ha toccato il tema della tutela dei minori stranieri che arrivano da soli in un paese e necessitano del riconoscimento dello status di rifugiato.

Ma nella seconda parte del convegno la parola è passata agli psicologi e psichiatri esperti della questione. Tra gli interventi quello di Eugenio Aguglia, psichiatra e professore ordinario dell’Università degli studi di Catania. “La valutazione psichiatrica – ha affermato – della capacità genitoriale è un aspetto che noi psicologi ci poniamo sempre più frequentemente specie quando all’interno di una famiglia si verificano tensioni e fratture. Problematiche che al sud sono spesso è legate ad una componente tendente all’impulsività, alla rivendicazione e all’aggressività. Quando noi psichiatri su disposizione di un mandato del giudice, procediamo con una perizia spesso ci troviamo davanti a situazioni estremamente gravi per la salute psichica dei bambini. Accade soprattutto in situazioni di bambini contesi tra coniugi: è come se non gliene fregasse nulla a nessuno dei due genitori, perché lo scopo sembra quello di farsi la guerra reciprocatamente. E i figli spesso diventano solo un mezzo per farlo”- conclude lo psicologo.

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27 Novembre 2015, 10:19

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