12 Ottobre 2009, 17:05
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“Mio figlio non ha sbandato per un colpo di sonno, sono convinto che sia stato speronato da un’auto. Me l’hanno ucciso e chi l’ha fatto è un animale”. Sono le parole di Giuseppe Giannone, padre di Luca, 19 anni, morto in un incidente stradale sabato notte a Palermo, in cui è stato coinvolto anche l’amico, Armando L.Z., ricoverato in rianimazione a Villa Sofia in condizioni gravi.
Intorno alle quattro del mattino, Luca saluta gli amici e parte a bordo del suo scooter. Poi lo schianto contro un albero e il balzo del ragazzo a oltre centro metri dalla moto, in via Leonardo Da Vinci. I familiari vengono avvertiti solo dopo un’ora dall’incidente e, giunti sul posto, trovano solo un corpo inerme coperto da un lenzuolo. Nessuna sagoma a terra a indicare la posizione iniziale. “I vigili si stavano preoccupando di rilevare i danni delle macchine posteggiate coinvolte nell’incidente – racconta il padre – mentre mio figlio giaceva sul ciglio del marciapiede sotto un lenzuolo. Dopo tre ore dalle perizie nessuno sapeva darmi alcuna ipotesi. Chiedo la verità. Che possono darmi solo persone competenti”.
Luca aveva tante prospettive e tanti sogni da realizzare. Il ragazzo – in attesa di una risposta per il servizio civile – ogni tanto faceva il cameriere in una pizzeria vicino casa. “La sua vita erano gli amici, la ragazza e la famiglia. Mai un eccesso. Non correva. Agli appuntamenti era sempre l’ultimo ad arrivare!” dicono gli amici.
“Doveva spiccare il volo verso la vita, invece gli hanno tagliato le ali e me l’hanno lasciato come un cerino spento! Mentre la sua vita è finita, la mia è cambiata per sempre, niente sarà più lo stesso. Oggi è peggio di ieri, e so che è solo l’inizio”. Una famiglia lacerata dal dolore. Dice il padre: “Era un ragazzo semplice, senza molte pretese. Quello che volevo insegnargli, l’ha appreso. Era un modello di figlio. E adesso me l’hanno assassinato. Dentro quella bara accanto a mio figlio c’è metà del mio cuore”.
Abitava in via Ogaden, numero 18, nel quartiere di Passo di Rigano. Sotto casa una ventina di amici, gli stessi che ogni giorno erano pronti a trascorrere con lui il tempo libero. Di fronte tre grandi striscioni dedicati all’amico. “Non è vero che tutta la gioventù è vuota – conclude Giuseppe Giannone – non ci sono solo ragazzi difficili. Qui sotto casa ne ho la dimostrazione. Mio figlio era uno di questi”.
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12 Ottobre 2009, 17:05