04 Aprile 2019, 05:53
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PALERMO – Mancano cinque minuti alle sei del mattino del 18 marzo scorso. A poche ore dall’omicidio di Francesco Manzella la moglie e il fratello della vittima sono in una stanza della squadra mobile di Palermo.
Piangono e si disperano. Quel colpo di pistola sparato alla tempia ha reso la donna vedova e i suoi figli orfani. C’è la disperazione vera e quella finta, così sostiene l’accusa, di Pietro Seggio, l’uomo che avrebbe impugnato l’arma in via Gaetano Costa, di fronte al carcere Pagliarelli.
“Non c’è più… mio fratello non c’è più”, dice il parente di Manzella. “Come… ma lo hanno arrestato?… non ti ho capito… senti vieni qua… che cosa è successo?”, chiede Seggio che è stato convocato dalla polizia. Ci sono già dei sospetti sul suo conto. “Non c’è più”, ripete il fratello. “Tuo fratello… e perché – aggiunge Seggio – ieri ci siamo visti, gli ho telefonato”. Mentre parla colpisce con una manata la parete della stanza: “Mi ha dato una notizia… Francè escitene, escitene”, come se Seggio fosse a conoscenza di qualcosa di grave e avesse suggerito una via di uscita a Manzella.
Vittima e presunto assassino si conoscevano da tempo. Prima ancora che il primo diventasse il fornitore di droga del secondo. Pietro Seggio abbraccia il fratello della vittima, lo consola. Gli sussurra all’orecchio che Francesco era una persona “buona”. Secondo i pubblici ministeri Giovanni Antoci e Giulia Beux, ha recitato fino all’ultimo la parte dell’innocente.
Autentico è invece il dolore di chi ha perso un parente. “Sentivo che era successo qualcosa – racconta la moglie – perché non riuscivo ad andarmi a coricare… ero alla finestra”. Era un cattivo presagio. Ed ancora: “… quello che faceva faceva… ormai non c’è più niente da nascondere… finiti tutti i progetti… lui se ne voleva uscire… mi diceva me ne salgo là sopra…”.
Autentica è anche la disperazione dei parenti di Seggio – una famiglia onesta che ai poliziotti racconta dei tentativi disperati di farlo disintossicare. Avevano scoperto per caso dei problemi dio droga ed erano riusciti a convincerlo a rivolgersi al Sert. Non è servito a nulla.
“Non sapeva incontro a quello che stava andando… se non gli hanno trovato armi in macchina non lo sapeva… che stava andando incontro a qualcuno che ci doveva sparare”: il fratello prova a immaginare la scena del delitto. Seggio rientra nella stanza: “Ci siamo incontrati di pomeriggio, mi ci sono incontrato la sera. È inutile nasconderlo”.
Il fratello e la moglie di Manzella restano di nuovo soli. “Ora tu non devi parlare niente… una persona in particolare per un consiglio – dice l’uomo – perché in un modo o nell’altro deve avere giustizia”.
Da alcuni giorni Seggio è rinchiuso in carcere. Si è avvalso della facoltà di non rispondere. Il suo legale, l’avvocato Giovanni Castronovo, sta svolgendo delle indagini difensive con la convinzione di potere chiarire la vicenda. La ricostruzione della Procura non lo convince. A cominciare dal movente del delitto: Seggio avrebbe ucciso Manzella per un debito di 700 euro. Agli atti dell’inchiesta c’è una minuziosa attività investigativa.
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04 Aprile 2019, 05:53