09 Marzo 2009, 16:58
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“Il silenzio assordante ci ha ferito. Il silenzio di tutti, non di qualcuno in particolare”. Marina Reina ha la voce ancora traboccante di dolore. Trent’anni sono passati dall’omicidio di suo marito Michele, segretario palermitano della Dc.
Trent’anni, giorno per giorno, che non hanno lavato via il sangue, né hanno tolto un grammo al peso sul cuore di una donna che è invecchiata intorno al suo lutto, come certi alberi crescono in altezza e sofferenza, storti, intorno a un antico trauma.
Trent’anni dopo la morte del segretario della Dc la vedova Reina parla di sé e del colore nero che porta sull’anima. “Sì, ci siamo sentiti abbandonati da tutti. Come se questo delitto fosse di serie B, appartenesse a una categoria inferiore che non merita celebrazioni o ricordi. Una cosa brutta, scusi il mio sfogo amaro. Dai processi è uscito poco. Ci hanno voltato le spalle. Ci siamo trovati, da un giorno all’altro, senza amici. Siamo state lasciate sole all’improvviso io e le mie figlie”.
Michele Reina fu il primo politico siciliano a cadere sotto il piombo della mafia. Poi toccherà a Piersanti Mattarella e a Pio La Torre. Al processo sono stati condannati con sentenza definitiva i boss Michele Greco, Totò Riina, Bernardo Provenzano, Pippo Calò, Francesco Madonia e Nenè Geraci, i mandanti. Nulla si è mai saputo circa gli esecutori materiali e sul preciso movente, a parte un generico “danneggiamento degli interessi dei corleonesi”. E dopo trent’anni Marina Reina non ha potuto darsi pace. La voce al telefono è punteggiata di lacrime: “Un delitto eccellente, ma nessuno lo ricorda”. Un buco profondo sulla corteccia dell’albero cresciuto storto, sulla radice secca del dolore.
(la foto è tratta dalla mostra personale di Letizia Battaglia alla Galleria Cesare Manzo di Roma)
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09 Marzo 2009, 16:58