“Missioni fantasma” alla Dia | Condannato un alto ufficiale

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31 Maggio 2018, 15:06

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PALERMO – È stato condannato Corte dei Conti. Ad Angelo Bellomo, ex capo centro della Direzione investigativa antimafia di Catania e oggi vicario della questura di Ragusa, deve sborsare poco meno di 22 mila euro. La sentenza è stata emessa dal collegio presieduto da Luciana Savagnone.

A tanto ammonta il danno erariale per i rimborsi delle spese di un appartamento preso in affitto “solo sulla carta” e per missioni ritenute “fantasma” dalla procura regionale. Sono gli stessi fatti per i quali Bellomo è finito sotto processo a Catania con l’accusa di falso e truffa. Il materiale raccolto dai pubblici ministeri catanesi Agata Santonocito e Andrea Bonomo è stato girato ai pm contabili guidati da Gianluca Albo che prima ha spedito a Bellomo l’invito a dedurre e poi, acquisite le sue risposte, ha deciso di citarlo a giudizio. A indagare sono stati i finanzieri dei nuclei di polizia tributaria di Catania e Caltanissetta.

Gli episodi contestati si collocano fra gennaio 2011 e marzo 2014, data dell’ultimo rimborso. L’allora numero uno della Dia catanese avrebbe attestato “falsamente di avvalersi come alloggio di servizio” di un appartamento in piazza Nettuno a Catania. L’affitto dichiarato era di seicento euro al mese. Secondo gli investigatori, il contratto di locazione con una società sarebbe stato “fittizio” e Bellomo non avrebbe mai abitato la casa e neppure pagato, salvo poi chiedere il rimborso all’amministrazione.

Il secondo episodio riguarda una raffica di missioni che Bellomo disse di avere effettuato nel 2013. Risultava essere stato in giro per le città siciliane (Caltanissetta, Messina, Comiso, Ragusa, Taormina, Augusta, Noto, Carlentini, Gela e Patti). Ad ogni missione seguiva una richiesta di indennità che spetta per legge, compresi i soldi per i pasti non consumati. In realtà, ed ecco la contestazione dei pm ordinari e contabili, le missioni sarebbero state “attestate falsamente”. 

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“L’analisi dei tabulati e dei ponti radio aggancianti al telefono di servizio, in uso esclusivo al dirigente, inoltre – si legge nella sentenza – aveva dimostrato che nei giorni indicati nelle domande di rimborso, l’interessato non si trovava nelle località in cui aveva dichiarato di essersi recato in missione”.

Secondo la Procura di Catania, la prova era talmente evidente da chiedere il giudizio immediato. Una richiesta accolta dal giudice per le indagini preliminari. Il processo contabile si è mosso parallelamente e ora giunge alla sentenza di condanna di primo grado, dunque appellabile.

Bellomo si è difeso sostenendo che “il locatore, cui aveva, in effetti, pur senza fruire dell’alloggio a causa del precario stato di salute della moglie, pagato tutti i canoni dovuti, si era approfittato della propria buona fede”: Mentre nel caso delle missioni, ha detto di avere “dovuto firmare un ingente numero di fogli di autorizzazione, riguardanti anche i propri sottoposti, a distanza di tempo dallo svolgimento delle stesse, facendo involontariamente confusione”

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31 Maggio 2018, 15:06

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