16 Aprile 2018, 20:00
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PALERMO – “Nuovo campo non significa nuovo partito. Per costruire un nuovo campo dobbiamo rivolgerci a tutti coloro che si sono sentiti traditi dal Pd. Un percorso rivolto alla società e non ai gruppi dirigenti”. La pone così Baldo Gucciardi sul palchetto dell’iniziativa organizzata sabato dai renziani a Trabia. E nel suo intervento, il deputato regionale dice con chiarezza no a ipotesi neo-centriste. Giuseppe Bruno, renziano doc e presidente del partito, anche lui proveniente dal Ppi come Gucciardi, la mette così: “Al populismo dobbiamo rispondere con la nostra identità, ripartendo dalla sintesi tra cattolicesimo democratico e sinistra riformista e mettendo al centro la Persona, gli ultimi. È la scommessa che abbiamo davanti”. Insomma, in una parola sola: sinistra. Altro che Macron, insomma. Dalla kermesse del “Nuovo campo” di sabato, gli scenari neocentristi che guardano alla Francia e a En Marche escono alquanto ridimensionati. Il gruppo che si è riunito a Trabia con la regia di Davide Faraone parla sì di un nuovo Pd ma non di un nuovo partito. “Non ci serve un Pd con troppi dirigenti e pochi operai, un partito con la puzza al naso. Dobbiamo voltare pagina e costruire un nuovo Pd”, dice ad esempio il palermitano Dario Chinnici. D’altronde, il concetto di nuova mission ma non nuovo partito, era stato espresso alla viglia anche da Davide Faraone. Ma si può dire che le venature “macroniane” della kermesse sono apparse assai sfumate.
Insomma, al di là delle sfumature che certamente non mancano tra le diverse correnti del partito, al momento l’impressione nel Pd siciliano è che le spaccature siano più il frutto di una contrapposizione tra gruppi e correnti che su un’effettiva divergenza sulla piattaforma politica. Nel weekend anche i Partigiani Dem, apertamente in conflitto con l’area renziana, si sono riuniti. “Il Partito Democratico deve tornare ad essere una comunità che faccia emozionare, che sia popolare e chiaramente collocata nel centrosinistra e nel socialismo europeo – dice Antonio Rubino, uno dei leader del gruppo -. In questi anni siamo apparsi un soggetto indistinto che, nella logica di apertura all’elettorato moderato, ha imbarcato di tutto, procedendo semplicemente ad una somma di ceto politico e non di consensi ne, tanto meno, di idee. Occorre cambiare radicalmente questo concetto che in Sicilia è stato bocciato dagli elettori in maniera clamorosa. Errare è umano ma perseverare è diabolico”
Il manifesto dei Partigiani parla del Pd “come l’unico soggetto in grado di contendere il consenso ai populisti senza rinchiudersi nell’Italia moderata. Un partito che sia di opposizione, senza tentennamenti, ma per restituire una speranza di cambiamento, non per difendere lo status quo. Opposizione, senza dubbi, ma non per offrire un salvagente a un ceto politico indistinto che è stato bocciato dagli elettori. Opposizione, certo, ma non per diventare un partito moderato e di establishment”. Concetti che in realtà si sono sentiti anche a Trabia nel corso della rassegna renziana. “Il nuovo campo che dobbiamo far nascere è quello dell’ascolto. Torniamo nelle nostre città e organizziamo incontri con i cittadini, smettiamola di parlare tra di noi”, ha detto ad esempio Annalisa Petitto. Certo, l’aria resta tesa e le ruggini rimangono tutte e a tutti i livelli. Si litiga anche nel giovanile del partito, con quattro membri della direzione che criticano il segretario provinciale di Palermo per aver partecipato alla kermesse renziana e non a quella organizzata in settimana al partito.
All’evento di Trabia hanno partecipato anche deputati regionali non ascrivibili alla corrente renziana. C’era Luisa Lantieri, finora vicina alla corrente di Michele Emiliano. “Credo che sia giusto ascoltare in un partito”, dice lei. E c’erano gli esponenti di Areadem, la corrente di Dario Franceschini. Giuseppe Lupo si è soffermato soprattutto sul tema del Mezzogiorno, con qualche distinguo rispetto agli amici renziani, sia sui risultati ottenuti dal governo al Sud sia sulla composizione delle liste delle Politiche. E anche sul tema del nuovo governo che verrà a Roma: se Lega e Cinque stelle falliranno, il Pd non potrà restare a guardare e dovrà ascoltare con molta attenzione il Capo dello Stato, ha detto Lupo, in sintonia con Franceschini. Su questo ultimo punto le divisioni nel partito a livello romano restano. Ma cresce nei territori, riporta oggi Repubblica, la sensazione di dover rinunciare all’Aventino e di dover mettersi in gioco nel caso in cui Di Maio e Salvini on riusciranno a trovare la quadra sul governo. Una prospettiva che Renzi e i suoi più stretti alleati come Matteo Orfini – leader della corrente a cui fa capo il segretario siciliano Fausto Raciti – però preferirebbero evitare. Ancora oggi, Faraone, ha ribadito il punto: “Il Pd ha una linea votata in direzione nazionale e su quella restiamo fermissimi. Il governo spetta a chi ha vinto. Tocca a Salvini e a Di Maio trovare una soluzione e se non ne sono capaci dichiarino agli elettori il loro fallimento e lo comunichino a Mattarella”.
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16 Aprile 2018, 20:00