19 Maggio 2018, 06:00
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PALERMO – Affermarla per contribuire alla sua negazione. È il paradosso della legalità, che emerge a più riprese nell’ordinanza con la quale il Gip Maria Carmela Giannazzo ha firmato l’ordinanza di custodia cautelare nei confronti, tra gli altri, di Antonello Montante. I magistrati usano più sinonimi per rendere la portata dell’impostura: “paravento”, “finzione” “strumento per il potere”. Il concetto insomma è sempre quello: la creazione e l’attribuzione di una “patente” di correttezza e di estraneità, anzi, di contrarietà ai poteri criminali era la condizione necessaria per la “scalata” non solo all’interno della mondo confindustriale, ma anche di quello politico e istituzionale.
L’etichetta di “mafioso”
Un progetto lucido e preciso, secondo il magistrato: da un lato il richiamo costante al concetto di “legalità”, dall’altra l’attribuzione di etichette di “mafiosità” agli avversari. “Si è trattato, a ben vedere, – si legge nelle oltre 2.500 pagine di ordinanza – della realizzazione di un sottile e ben pianificato disegno volto a ridurre al silenzio coloro che, in astratto, avrebbero potuto riferire circostanze compromettenti sul conto del Montante e, ancor prima, a prevenire possibili indicazioni sui suoi pregressi rapporti con esponenti mafiosi che, laddove veicolate, si sarebbero ben potute contrastare, come effettivamente avvenuto, tacciandole come il tentativo di reazione di un sistema compromesso e colluso verso coloro che, in maniera autoreferenziale si proponevano come portatori di una rivoluzionaria svolta improntata alla legalità”. Eccola, la parola. La “legalità” a fare da trama al lungo lenzuolo dell’ordinanza.
Lumia e il “gruppo della legalità”
Un caso inquietante emerge poi dall’interrogatorio dell’imprenditore Massimo Romano. Quest’ultimo racconta, sostanzialmente, di avere ricevuto pressioni da Montante e dal senatore Giuseppe Lumia affinché denunciasse una estorsione mai avvenuta. Ed ecco tornare il termine “legalità” a uso e consumo di quella che, stando alla denuncia di Romano, era un comportamento assai discutibile: “Nel 2008 – dice agli inquirenti – venne aperta un ‘indagine nei miei confronti per false informazioni al P.M. e a seguito di ciò, la mia figura venne “rivalutata”` da Antonello Montante, il quale mi sollecitò a denunciare i fatti alla Procura, sollecitazione cui risposi che non avevo mai pagato nessuno in vita mia sicché non potevo andare a denunciare alcunché. Ricordo – aggiunge – anche che vi fu un incontro a Roma alla presenza di Lumia, Venturi e della stesso Montante nel corso del quale il Lumia mi disse che facevo parte del ‘gruppo della legalità’” e che se non avessi denunciato avrei creato “un neo ” al percorso intrapreso”.
Un percorso che avrebbe dovuto portare Romano al vertice di una associazione antiracket: “Poiché in quel periodo vi era in animo di costituire una nuova associazione antiracket a Caltanissetta, ho anche avuto la sensazione che il discorso del Montante fosse funzionale a farmi divenire il Presidente di questa associazione attraverso una denuncia all ‘autorità giudiziaria che avrebbe conferito estrema credibilità alla mia persona. In altre parole, sporgendo una denuncia mi sarei “trasformato da neo a fiore all’oechiello” del “gruppo della legalità”. Fiore all’occhiello della legalità per aver dichiarato il falso, questo il paradossale progetto raccontato da Romano e che, ovviamente, dovrà essere dimostrato.
“I paladini dell’antimafia”
Ma per i magistrati non ci sono molti dubbi: il mantra sulla “legalità” è stato usato strumentalmente per conquistare il potere in Sicilia. Un progetto per il quale, annotano i magistrati, “risultava necessario che lo stesso Montante ed i suoi accoliti potessero accreditarsi quali ‘paladini della legalità e dell’antimafia’, si da apparire come ‘un nuovo corso’ che si poneva in rotta di collisione con il precedente sistema di potere affaristico mafioso facente capo all”ing. Pietro Di Vincenzo, che in precedenza aveva governato all’intemo di Confindustria, e che, una volta acquisita, potessero anche mantenere la detta patente di ‘paladini della legalità e dell’antimafia’”.
È quello che rivela Alfoso Cicero, prima fedelissimo, poi grande accusatore di Montante che, intercettato dagli inquirenti spiega: “cioè…le dimissioni non sono funzioni…la parvenza è per un processo di legalità…nella sua testa…ma non è così…che poi abbiamo visto fino ai giorni nostri che di legalità non è stato fatto un cazzo o meglio..addirittura…”. In questo caso, la “legalità” sarebbe stata usata per invitare i dirigenti della Confindustria alle dimissioni per segnare la “rottura” nei confronti del leader di allora, Di Vincenzo, contro cui la “nuova” Confindustria aveva deciso di schierarsi. “Per intraprendere un percorso di legalità” annoterà Cicero preparando un memoriale insieme a Venturi.
“La stanza diciamo della legalità”
Il paradosso della legalità è fatto poi di piccoli paradossi. È il caso di quella che lo stesso Montante ha definito “la stanza diciamo della legalità”. Lì gli inquirenti hanno trovato documenti e registrazioni, appunti e carte di vario tipo. “Un insieme di circostanze – annota il Gip – che stride alquanto con la definizione di ‘stanza diciamo della legalità’”. Tra le altre cose, annotano i magistrati, in quella stanza sono stati trovati “appunti e stampe che costituiscono il frutto di numerosissimi accessi abusivi nelle banche dati in uso alle forze di polizia e che sono funzionali alla costante attività di dossieraggio praticata dal Montante”.
Cusumano e il caso Ast
E qualcosa in merito ha detto anche Giulio Cusumano, ex vicepresidente dell’Ast che ha raccontato una delle vicende più inquietanti dell’inchiesta: sarebbe stato “avvisato” dall’allora governatore Lombardo (che ha smentito e minaccia querela) dell’esistenza di un plico contenente informazioni riservate e ‘scabrose’, riferito all’omosessualità dello stesso Cusumano oltre a presunte – rivelatesi inesistenti – parentele mafiose. L’attuale consigliere comunale di Palermo collega questo episodio alla sua attività di contrasto alla fusione della Jonica Trasporti in Ast, operazione che sarebbe stata caldeggiata già in quegli anni da Montante: “Si era artatamente generato il convincimento, e di tanto si parlava in azienda, – racconta agli inquirenti – che io fossi il mafioso che si opponeva ad una operazione che riguardava il Montante che era l’imprenditore a difesa dei valori della legalità”.
I rapporti con le forze dell’ordine
E il concetto ritorna quando i magistrati fanno riferimento alle “ampie relazioni che il Montante ha saputo allacciare, in ambito locale, con esponenti di tutte le forze dell”ordine” rapporti che sarebbero stati agevolati anche”dall’essersi fatto portavoce di una svolta legalitaria che appare oggi, alla luce di quanto raccolto, un mero paravento dietro cui poter curare i propri interessi e quelli di coloro che gli sono stati maggiormente vicini nel corso di questi ultimi anni”.
Legalità, legalità, legalità. Un percorso che non ammette sbavature, che non risparmia avversari. Lo racconta sempre Venturi agli inquirenti, in riferimento ad altri industriali considerati, appunto, “nemici” da Montante: “Sia Montante che Lumia solevano ripetere che Lo Cascio, Mistretta e altri imprenditori erano legati a Di Vincenzo e quindi al potere mafioso al quale lo stesso era legato e per tal motivo venivano indicati come ‘ostacoli’ al percorso di legalità che si era intrapreso. Il Lumia si è espresso in quei termini sia in discorsi privati da me personalmente uditi che pubblici”.
Le legalità del governo Crocetta
E il richiamo alla legalità è stato, come è noto, uno dei ritornelli maggiormente usati dai vertici politici della Regione siciliana. Non a caso, tra gli indagati, figurano anche l’ex governatore Crocetta, gli ex assessori Vancheri e Lo Bello e anche un dirigente generale, Alessandro Ferrara. Quest’ultimo, a dire il vero, torna nelle ordinanze nella doppia veste di “vittima” e di indagato. È lui, stando all’accusa, a ricevere pesanti pressioni da quella che sarebbe stata presto il nuovo assessore alle Attività produttive, Mariella Lo Bello appunto, su ‘consiglio’ dello stesso Montante. L’obiettivo? Secondo i magistrati, quello di screditare uno dei grandi accusatori, Alfonso Cicero. Di fronte alle resistenze del dirigente, che sarebbe stato invitato a denunciare fatti non avvenuti, ecco l’avvertimento: “Tu cià diri – il consiglio di Montante alla Lo Bello – perchè non stai aiutando la legalità…non stai aiutando assolutamente la legalità”.
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