Morì folgorato a quindici anni | La Cassazione conferma le condanne

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16 Giugno 2010, 16:05

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C’era una spiaggia e, come di solito capita, accanto alla spiaggia, c’era il mare. Era la notte di Ferragosto. Tutti hanno almeno un dolce ricordo di una notte di Ferragosto. Per Carmelo Leto sarà sempre la notte in cui morì suo figlio Paolo.
Aveva quindici anni Paolo, era un ragazzino bellissimo e buono. Stava lasciando la sua pelle vecchia di bambino, per indossare il vestito scintillante dell’adolescenza quando la morte lo colse sulla strada di Trabia. Appoggiò il palmo della mano su un palo della luce il povero Paolo Leto. La scarica fu inattesa e letale.
Dalla notte in cui Paolo smise di respirare, mentre un medico amico gli praticava un disperato massaggio cardiaco, la vita di molti cambiò. E’ mutata la strada di papà Carmelo, di mamma Elda e dei suoi fratelli. E’ rimasta coraggiosa e generosa, però ha conosciuto una rapida discesa negli infidi meandri del dolore. Un tribunale è stato chiamato a decidere i torti e le ragioni. E oggi sappiamo che Paolo Leto non c’è più per responsabilità degli uomini. E’ stata fatta giustizia. Tuttavia è un verdetto forse perfino “leggero” che ci opprime, in qualche  oscuro modo, perché sappiamo adesso che Paolo doveva esserci oggi. Il fatto che non ci sia è una colpa.

L’Ansa ha battuto la notizia: “I giudici della quarta sezione penale della Corte suprema di Cassazione hanno dichiarato inammissibile i ricorsi presentati dai dipendenti tecnici dell’Anas, Nicolò Montana e Egidio Aloisio, condannati lo scorso anno dalla Corte d’Appello di Palermo a due anni di reclusione (pena condonata) per la morte di Paolo Leto, 15 anni, avvenuta la notte di Ferragosto del 2002. Viene così confermata la sentenza di condanna. Il ragazzo stava rientrando da un falò notturno sulla spiaggia di Trabia, alle porte di Palermo, quando sfiorò con la mano destra un palo dell’illuminazione pubblica dell’Anas, rimanendo foolgorato a cusa di una dispersione d’energia elettrica. I due tecnici dell’Anas ricoprivano la carica rispettivamente di direttore del centro impianti tecnologici e telecomunicazioni per la Sicilia centro-occidentale e responsabile della manutenzione, e capo nucleo dello stesso centro”. L’Ansa riporta un breve commento del papà di Paolo:  “Con la sentenza della Cassazione – dice Carmelo Leto, padre di Paolo – si chiude una pagina dolorosissima, resta un dolore immenso e un vuoto incolmabile. Sono stati individuati i responsabili, ma di fatto per loro non c’é stata alcuna conseguenza pratica: continuano a lavorare, la loro vita non è cambiata. Io da sette anni e dieci mesi indosso la cravatta nera”. Una giustizia magari piccola. Nel paese delle ingiustizie è già qualcosa.

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La cravatta nera ha accompagnato Carmelo. L’ha accompagnato sulla porta della scuola di suo figlio, quando gli altri ragazzi uscivano e lui, Carmelo, lo cercava, sapendo che non l’avrebbe trovato mai più. La piccola giustizia non cancella i passi del lutto, affianca alle orme dell’ombra le impronte di una luce tenue che rischiara appena un centimetro di cuore. Di altre luminosità avremmo bisogno. Vorremmo Paolo qui, noi che ne abbiamo raccontato la storia e che solo in fotografia gli abbiamo voluto bene. Lo vorremmo cresciuto con le rughe e con i pesi dell’età che consuma presto i fuochi di Ferragosto. Invece Paolo è rimasto per sempre su quella strada, tra la spiaggia e il mare. E’ rimasto lì, mentre qualcuno gli accarezzava il cuore con l’illusione di riportarlo in vita. E’ rimasto lì, Paolo Leto. Nell’ultimo istante – così raccontano – aveva il naso puntato verso il cielo, il respiro fioco e gli occhi già pieni di stelle.

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16 Giugno 2010, 16:05

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