Linda, Pietro, il papà | Tutti sotto lo stesso cielo

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21 Marzo 2013, 11:06

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E’ come se ci fosse un legame fra tre storie simili e diverse che stiamo raccontando. Il coraggio di Linda Vancheri, la forza di un papà col figlio affetto da sindrome di Down e la morte di Pietro Mennea. In ognuna di esse, per quanto vissute su pianeti lontani, c’è il superamento del limite.

Linda è una bella e amabile donna, ci pare di poterlo scrivere, senza conoscerla. Di quelle donne che devono sapere coniugare aspetto e intelligenza, altrimenti sono fuori dal giro, incardinato nel teorema maschilista: bella=scema, geniale, ma brutta. In un’intervista a Felice Cavallaro per ‘I love Sicilia’, Linda Vancheri l’ha confessato: ho la sclerosi multipla. E’ la rivelazione di un personaggio pubblico che rompe il finto pudore della malattia. Ogni male porta un nascosto senso di vergogna, come se la sofferenza fosse anche un po’ colpa nostra. Una punizione sfumata. Un castigo non detto. Soprattutto un rischio, in un mondo che pretende l’efficienza della macchina, la presenza del corpo ridotto ad automa e pazienza se lo spirito, invece, è assente. Linda ha smagliato questa trama perversa, dimostrando che la sofferenza può andare in bici, a caccia della felicità. Poi rientri a casa, posi la bicicletta e sali a fatica le scale. Ma la pedalata, la voglia di pedalare, l’istinto di un gesto che somiglia più di ogni altra cosa a volare, non ti abbandonano mai.

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E c’è il papà di un ragazzo ora maggiorenne che viene a cercare le nostre lacrime con la sua lettera. Suo figlio è una persona colpita dalla sindrome di Down. Alla nascita, apparve il profilo apocalittico della catastrofe. Suonarono forte le trombe del dolore. Con pazienza, col tempo, lo squillo è diventato una ninna nanna per pianoforte. La musica della crescita condivisa ha accompagnato un’esperienza di apprendimento. Stare insieme ed essere contenti, nonostante un cromosoma in più. Il cosiddetto handicap è diventato una risorsa. Un modo per penetrare cose e sentimenti, senza il bisogno della superficialità, senza l’altolà della buccia. Andare dentro, sbucciare la vita dall’interno, assaporarla, non avendo fretta di consumarla. Ogni giorno, una goccia di gioia.

E poi c’è Pietro Mennea che è morto, fermato da un male. Ed è dfficile per noi che ci crediamo immortali, e pretendiamo favole consolanti a riguardo, rintracciare una forma più risoluta di antitesi. Il campione stoppato a gara in corso. A sessantun anni. Ma che importa, se Mennea continuerà a scattare nel nostro cuore, ogni volta che vorremo, per superare il limite? C’è un orizzonte comune tra Linda, il papà e Pietro. Viviamo su pianeti lontani che non sempre si toccano. Ma, alla fine, siamo tutti sotto lo stesso cielo.

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21 Marzo 2013, 11:06

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