Il cuore pulito di Gimondi | “Stavolta perdo io”

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17 Agosto 2019, 11:37

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Dire Gimondi, come dire Paolo Rossi. Perché se uno è campione lo sarà per sempre. E l’universo che sta intorno si divide in due: quelli che hanno visto le gesta (quelli che hanno visto dal vivo Pelè, Felice Gimondi, Paolo Rossi) e quelli che, poveretti, per ragioni anagrafiche hanno soltanto annusato il mito.

E’ morto Felice Gimondi, nel mare di Giardini Naxos, mentre faceva il bagno, a breve avrebbe compito settantasette anni. Ed è l’ennesima tragedia di un Ferragosto con un bilancio tremendo. Quando muore un asso del ciclismo il cordoglio è vivissimo. La bicicletta è l’immagine di un mondo incontaminato e puro che affascina pure quelli che ne capiscono quanto ne capirebbero di curling.

Scriveva Indro Montanelli in una delle sue impagabili cronache del Giro e delle biciclette: “Un mondo buono e d’altri tempi, paesano, polveroso e generoso, dove si incontrano incanutiti, ma sempre uguali a se stessi, Garrone e De Rossi, la piccola vedetta e gli aneddoti dei nostri babbi”. Ecco perché il lutto per Gimondi, tra cronaca e libro ‘Cuore’, è una ferita profonda. Per le qualità dell’uomo, non solo dell’atleta, e per l’abdicazione di un altro pezzetto di quell’universo magico. Ed è un cordoglio chiassoso, per nulla rassegnato all’ineluttabile.

“Era simbolo di un’Italia felice, che ora appare ancora più vuota e lontana – riassume l’Ansa -. Felice Gimondi, un monumento dello sport italiano, ha scelto l’estate per andarsene, la stagione del Tour de France, uno dei grandi giri che ha conquistato nella sua lunga e straordinaria carriera. Lo ha colto un malore mentre faceva il bagno nelle acque di Giardini Naxos, nei pressi di Taormina, dove era in vacanza insieme alla famiglia. Inutili tutti i tentativi di intervento. Gimondi, che avrebbe compiuto 77 anni il 29 settembre, era sofferente di cuore e secondo i soccorritori sarebbe rimasto vittima di un infarto”. Non ci sarà l’autopsia. La salma è stata restituita alla famiglia.

Il ‘Cannibale’, il rivale trionfante di sempre, Eddy Merckx, ha commentato: “Stavolta perdo io. Perdo prima di tutto un amico e poi l’avversario di una vita. Abbiamo gareggiato per anni sulle strade l’un contro l’altro, siamo diventati amici a fine carriera. L’avevo sentito due settimane fa, come capitava ogni tanto”. Di loro, un altro grande, Gianni Brera, scrisse pagine memorabili di quei giorni e di quelle lotte eroiche. Un eroismo riassunto da una canzone di Enrico Ruggeri: “E quanta strada che verrà. Ma non mi avrai, io non mi staccherò. Guarda la tua ruota e io ci sarò”. Una ruota. Un nemico che poi diventa amico. Il cielo che brilla sopra di te. Il cuore che corre dentro di te.

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17 Agosto 2019, 11:37

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