22 Maggio 2009, 09:28
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Alle pareti i ritratti dei boss, da Al Capone a Lo Piccolo, da Liggio a Provenzano, fino al latitante Matteo Messina Denaro, rappresentato nella posa del noto identikit in giacca e occhiali da sole, con in testa, però, un’insolita corona da re. Sono le venticinque opere su tela dell’artista Flavia Mantovan che con la mostra “Facce di mafiosi” inaugura il museo della mafia voluto a Salemi dal sindaco Vittorio Sgarbi e dall’assessore alla Creatività Oliviero Toscani. La manifestazione, promossa dal Comune siciliano, sarà inaugurata sabato, giorno di ricorrenza della strage di Capaci, alle 19 nei saloni del castello in Piazza Alicia a Salemi e resterà aperta al pubblico fino al 6 giugno. Alla conferenza stampa dell’evento, all’Hotel delle Palme, luogo – simbolo che ha sancito la nascita della “cupola”, sono presenti il sindaco e l’artista, modella e pittrice nello studio di La Chapelle, in America. E’ proprio Mantovan a definire la sua tecnica “Una trasformazione di un’immagine di base, come una fotografia, fatta nello stile di Andy Warhol che era stato allievo di La Chapelle”.
Difficile schivare il rischio di un’operazione che sortisca l’effetto opposto, e cioè mitizzare l’iconografia tradizionale dei boss, ampiamente alimentata da film e fiction che hanno conferito fascino e mistero a criminali efferati. Ma l’inconsueto duo politico non è nuovo a queste iniziative: era stato proprio il fotografo Oliviero Toscani, di comune accordo con il critico Vittorio Sgarbi a voler proporre la registrazione del marchio M.a.f.i.a. come acronimo di “Mediterranean Association For International Affair”. “Servirà a veicolare progetti di comunicazione”, avevano detto in risposta alla protesta dell’associazione nazionale familiari vittime di mafia. E anche questa volta ogni accusa viene respinta al mittente: “Quelle sollevate da Sonia Alfano sono polemiche inutili – dice Sgarbi – è come dire che la foto di Mills sui giornali è una forma di promozione. Non bisogna avere paura delle parole, vogliamo solo essere meno rispettosi delle solite convenzioni e banalità dell’antimafia. In queste opere è ritratta la mafia nello stile ‘Wanted’, con volti di borghesi ordinari dalla rispettabilità di facciata e che una volta catturati mostrano dei lineamenti nuovi, meno duri degli identikit, come è stato il caso di Provenzano, che una volta catturato ha rivelato un aspetto simile a quello di un comune pensionato”.
Il museo aprirà nel 2010, in occasione delle celebrazioni per il 150esimo anniversario dell’Unità d’Italia, e per quella ricorrenza Sgarbi annuncia l’apertura di altre due gallerie oltre quella sulla mafia, come “Il museo del risorgimento e archeologico. Del resto la parola mafia compare precisamente tra il 1859 e il 1861, in coincidenza proprio dell’Unità d’Italia”. Il senso dell’operazione? “Fare qualcosa di simile al museo sull’Olocausto. Anche il termine ‘museo’ è di origine ottocentesca, in contraddizione con le dinamiche di internet e del cinema. Non a caso ho scelto la parola ‘museo’: sarà il luogo dove verrà rappresentato il passato. In questo modo Cosa nostra diventa cosa di tutti”.
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22 Maggio 2009, 09:28