17 Giugno 2012, 19:29
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Era il fiduciario, nella gestione del suo patrimonio, dell’ex sindaco mafioso di Palermo, Vito Ciancimino. E’ morto a ottant’anni, a Roma, l’avvocato penalista Giorgio Ghiron: una vita piena di intrecci e di misteri la sua, dovuti proprio all’inchiesta sul “tesoro” di don Vito, che negli anni si è praticamente allargata a macchia d’olio. L’anno scorso, infatti, il legale era stato condannato per riciclaggio, insieme a Massimo Ciancimino e Gianni Lapis, a cinque anni e quattro mesi di reclusione. Ma si trattava soltanto della punta dell’iceberg, visto che già nel 2005 le indagini sul patrimonio dell’ex sindaco – messo in piedi con complicità politiche e mafiose – avevano condotto gli inquirenti a scavare negli ambienti romani.
Fu allora che nel registro degli indagati della Procura di Palermo fu aggiunti il nome di Ghiron: secondo quanto scoperto dai carabinieri coordinati dai sostituti Roberta Buzzolani, Lia Sava, Michele Prestipino e gli aggiunti Sergio Lari e Giuseppe Pignatone, l’avvocato sarebbe stato l’ anello di congiunzione di tutti i grandi affari milionari – tra i quali quello del gruppo Gas – dei quali hanno parlato telefonicamente Ciancimino junior e il docente universitario palermitano Lapis. Un anno dopo, fu proprio l’archivio dell’ avvocato Ghiron – occultato nel garage del suo studio ai Parioli, a Roma – a svelare i conti e nuovi business di Massimo Ciancimino: i dialoghi vennero scoperti dentro una rete riservata che portarono i magistrati ad altri tre conti esteri del figlio di don Vito. Erano in Olanda, presso la Abn Amro di Amsterdam, la vecchia cassaforte creata da Vito Ciancimino per nascondere una parte del suo tesoro.
Rete riservata nella quale fu sorpreso anche a prendere accordi con Ghiron: “Per ora, si liberi di ogni cosa a me riferibile”, aveva riferito al penalista. E ribadiva di essere sicuro che i magistrati di Palermo avrebbero chiuso l’ indagine. Insomma, quella rete riservata faceva sentire talmente sicuro Massimo Ciancimino, che proprio attraverso quelle telefonate venne a galla il suo ruolo di regista nell’amministrazione del patrimonio del padre. In tutto, erano quattro i cellulari di cui si serviva. Tre erano intestati ai familiari dei suoi camerieri filippini, un quarto, invece, alla segretaria dell’ avvocato Giorgio Ghiron. I giudici d’appello avevano definito nell’avvocato romano “estremamente disinvolto nell’agire per lunghissimi anni al servizio di personaggi di dubbio spessore morale e di indubbio spessore criminale come Vito Ciancimino”.
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17 Giugno 2012, 19:29