21 Dicembre 2012, 22:14
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PALERMO – “Noi volevamo portarlo altrove, ma ci avevano detto che la sua pancreatite stava guarendo”. Dal Policlinico di Palermo, però, Giuseppe Tribuna non se n’è più andato. L’uomo, impiegato della Sovrintendenza ai Beni culturali della Regione, è morto a 42 anni lo scorso 17 giugno, dopo più di un mese di ricovero. Ad agosto la Procura ha iscritto 47 persone nel registro degli indagati. Nell’inchiesta coordinata dal pubblico ministero Renza Cescon sono finiti medici e dirigenti: un intero reparto, quello di Chirurgia d’urgenza, nel quale si cerca chi dovrà rispondere di omicidio colposo. Da qui l’iscrizione di massa nel registro degli indagati.
Tutto è partito da un esposto presentato dall’avvocato dei famigliari di Tribuna, Giuseppe Martorana. Perché tanti sono gli interrogativi che tolgono il sonno ai parenti di Giuseppe Tribuna. Dubbi che partono dal giorno in cui l’uomo, residente a Ficarazzi, sposato e con due figli, si reca al pronto soccorso del Policlinico accusando dolori all’addome. Due giorni dopo gli viene diagnosticato un calcolo alla colecisti e per l’11 di maggio viene fissata la data dell’intervento che avrebbe dovuto asportarlo. Le condizioni di Tribuna però quel giorno si aggravano: il calcolo si è trasformato in pancreatite e non si può più operare. “Visto che la calcolosi alla colecisti è una tra le principali cause di pancreatite acuta, perché non sono intervenuti nei primi giorni e hanno permesso il sopraggiungere della malattia?” si chiede il padre, Michele Tribuna.
Suo figlio, ricoverato nel reparto di Chirurgia d’urgenza, finirà sotto i ferri solo il 16 di giugno. Giuseppe Tribuna, infatti, non sarà operato neanche il 19 maggio, quando una Tac avrebbe individuato all’interno del corpo dell’uomo “un oggetto estraneo, metallico, lungo un centimetro e mezzo” afferma la sorella Florinda Tribuna. Quattro giorni prima, la pancreatite era diventata necrotico emorragica. “Quel giorno mi hanno detto che mio fratello aveva mezz’ora di vita” ricorda ancora la donna. “Giuseppe – aggiunge il padre – venne comunque trattenuto al primo piano della sala operatoria. Le cure di terapia intensiva però sarebbero state più incisive. Attendevano magari il suo decesso?”
Poi l’arresto cardiaco. “Le condizioni sembravano migliorate – continua l’uomo – Giuseppe non aveva più allucinazioni, sonnolenza e non respirava più con difficoltà in posizione supina. Mentre veniva sottoposto ad una Tac venne colpito da un arresto cardiocircolatorio. Perché in radiologia non era presente un rianimatore viste le precarie condizioni di salute di Giuseppe?”.
Quella notte, tra il 31 e l’1 di maggio Tribuna entra in coma e viene ricoverato in rianimazione. Il 16 giugno “l’ennesima Tac gli diagnostica una perforazione dell’intestino – ricorda l’uomo – L’intervento avviene solo due ore e mezza dopo, anche se a detta dei medici, l’operazione era l’unica speranza di salvargli la vita”.
Giuseppe Tribuna non riuscì a superare l’intervento e a distanza di sei mesi, i suoi famigliari hanno deciso di rompere il silenzio: “Noi crediamo nella magistratura – dice Florinda Tribuna – Sappiamo che i medici non hanno agito in malafede. Volevamo portare via Giuseppe, lo volevamo portare Verona, ma ci hanno bloccato dicendo che era in via di guarigione. Che siano stati superficiali e presuntuosi, questa è una certezza”. Almeno secondo i parenti, ma dovranno essere i magistrati prima e i giudici poi a confermare che la vittima sia stata davvero curata con superficialità. Il pubblico ministero di recente ha chiesto un’ulteriore proroga delle indagini.
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21 Dicembre 2012, 22:14