Muos, i riflettori del Corriere |Non governa Crocetta ma il Tar

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23 Febbraio 2015, 16:19

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L’ultima annotazione è arrivata stamattina dalle colonne del Corriere della Sera. Poche righe a firma di Angelo Panebianco per riassumere la situazione: c’è un Tar, quello di Palermo, che può permettersi di prendere decisioni in materia di sicurezza nazionale con sentenze come quella che pochi giorni fa ha imposto lo stop al Muos di Niscemi. Decisioni sempre legittime, per carità, ma che fotografano un potere sempre più ampio, capace di pesare come mai era accaduto prima. Un potere, oggi più di ieri, chiamato a supplire all’inconsistenza della politica isolana.

Non è che l’ultima decisione, d’altro canto. L’elenco delle sentenze amministrative che hanno sovvertito le decisioni della giunta Crocetta dall’inizio dell’anno era stato stilato appena pochi giorni fa su queste colonne: prima la bocciatura del progetto Prometeo, poi quella toccata al piano di rimodulazione degli ospedali, subito dopo lo stop alle nomine imposto alla Camera di commercio di Messina. E ancora la sospensiva per la revoca dell’accreditamento all’Enfap di Messina e all’Enaip Asaform, persino il contrordine sulla disputa fra Edy Bandiera e Pippo Sorbello per uno scranno all’Assemblea regionale. Di fronte a una Regione e a un’Ars non proprio brillanti per decisionismo, una débâcle assoluta.

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La sentenza Muos, però, è un salto di qualità. Annota Panebianco, ancora sul quotidiano di via Solferino, la domanda centrale: “Davvero la sicurezza nazionale, nonché i nostri impegni Nato, possono essere appesi alle sentenze del Tar?”. Ovvio, in un sistema di diritto che controbilancia i propri poteri è compito dei tribunali amministrativi cogliere le inadeguatezze della politica, le incertezze giuridiche dei provvedimenti della Regione, ed è dunque legittimo che il Tar si pronunci. Ma, proprio per questo, è la classe dirigente della Sicilia a dover tenere salda in mano la barra del timone. E invece assisistiamo a una politica che assegna a se stessa il ruolo di anello debole delle istituzioni. Che delega di fatto a un potere meno che visibile persino l’osservanza degli accordi internazionali. Che rinuncia, in fin dei conti, persino a mettere la faccia su una decisione di questa valenza. Se sia giusta o meno non è questione che rileva. Purché ad assumerla sia un potere individuabile. Un potere che l’architettura istituzionale del Paese non assegna alla giustizia amministrativa.

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23 Febbraio 2015, 16:19

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