21 Febbraio 2014, 06:15
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PALERMO – Buoni pasto in cambio della promessa di voti alle elezioni comunali del 2012. Un’inchiesta della Procura di Palermo arriva fin dentro una delle più importanti aziende palermitane. Gli indagati sono diciotto, a cominciare da Pietro Murania, fondatore della Kemeco, azienda leader nella produzione di detergenti per la casa, titolare del marchio Rio famoso in tutta Italia. Assieme al patron, nel registro degli indagati sono stati iscritti una sfilza di dipendenti della stessa impresa. L’ipotesi è che abbiano “elargito delle utilità nel corso della competizione elettorale”.
Tutto ruoterebbe attorno alla candidatura di Sonia Ganci, che non è indagata, al consiglio comunale di Palermo. La Ganci fu la prima dei non eletti nelle file del Mpa. Si piazzò quarta, ottenendo 1123 voti, una ventina in meno del candidato che strappò l’ultimo scranno utile a Palazzo delle Aquile. Dietro quel risultato elettorale ci sarebbe un meccanismo illecito denunciato da Luciano Cerniglia, un ex dipendente dell’impresa licenziato nel giugno 2012 per via di una condanna penale. È stato lui a raccontare, un mese dopo essere stato costretto a fare le valigie, quanto sarebbe accaduto in occasione della tornata elettorale del 2012. Ha fatto i nomi di coloro che avrebbero ricevuto interi blocchetti di buoni pasto da elargire agli elettori in cambio della promessa di sostenere la candidatura della Ganci. Circa 7000 tagliandi da 5 euro e 16 centesimi ciascuno. Accuse che, nonostante i contrasti fra Cerniglia e il suo datore di lavoro, sarebbero state giudicate credibili dagli investigatori.
“Ufficialmente non sono a conoscenza dell’inchiesta e non so so quali saranno i risvolti. Posso solo dire che il personaggio che ha avviato tutto questo è stato da noi licenziato perché condannato definitvamente in Cassazione – è dura la replica di Pietro Murania -. Il signor Cerniglia è stato da noi denunciato anche per altre vicende che riguardano il suo pregresso rapporto di lavoro. Mi pare logico che nutra risentimento e rancore nei miei e nei nostri confronti. Mi chiedo e vi chiedo: ritenete possibile che la mia azienda, che ha un peso internazionale, abbia interesse ad appoggiare un candidato al Consiglio comunale? Se la Procura, verso la quale nutriamo massima fiducia e rispetto, ritiene credibile il suo racconto – conclude l’imprenditore – vorrà dire che ci difenderemo nella massima serenità e trasparenza. In 35 anni di attività non ho chiesto niente a nessuno e nessuno mi ha fatto favori. Mai”.
Dura la replica del legale di Murania, l’avvocato Maurizio Svarese: “Abbiamo massima fiducia nel lavoro della magistratura. Riteniamo però che la vicenda ricalchi il racconto di manzoniana memoria del “Dagli all’untore”. Appare avidente che il propalatore sia un soggetto che nutre rancore nei confronti di Pietro Murania in quanto licenziato dalla ditta perché è venuto meno il vincolo fiduciario fra il dipendente e l’azienda. Il propalatore nutre la sola volontà di vendetta nei confronti di chi per vent’anni gli ha dato lavoro”
I procacciatori di voti, o presunti tali, avrebbero fornito un elenco con i nominativi degli elettori che sarebbero stati in grado di agganciare. La stragrande maggioranza degli indagati è stata convocata in Procura dal pubblico ministero Daniele Paci, titolare dell’inchiesta coordinata dal procuratore aggiunto Leonardo Agueci che guida il gruppo di pm impegnati sul fronte dei reati contro la pubblica amministrazione. In molti hanno negato le accuse. Qualcuno, però, avrebbe ammesso l’utilizzo dei buoni pasto come merce di scambio per le preferenze elettorali. E ci sarebbe stato persino chi, giunto al Palazzo di Giustizia come persona informata sui fatti, sarebbe andato vestendo i panni dell’indagato. L’unico a non essere stato interrogato è stato proprio Pietro Murania.
Gli indagati stanno per ricevere l’avviso di conclusione dell’inchiesta. Passaggio decisivo per svelare gli atti ancora top secret. E ce ne sarebbero di alcuni che spostano l’attenzione su altre vicende. Cerniglia avrebbe tirato in ballo in ballo esponenti politici e professionisti. Cosa abbia dichiarato è coperto dal rigido segreto istruttorio, anche se non è detto che abbia trovato riscontro nelle verifiche dell’autorità giudiziaria.
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21 Febbraio 2014, 06:15