“Attenti allo stragismo”

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23 Maggio 2012, 12:41

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La voce si spezza per la commozione. Due volte. E sempre quando Giorgio Napolitano si rivolge alla faccia pulita della società. Quella dei tanti giovani che gremiscono l’aula bunker del carcere Ucciardone di Palermo. I protagonisti “del dilagare della legalità nelle scuole”, li definisce il capo dello Stato. Giusto il tempo di raccogliere la voce e tornano i singhiozzi che segnano il suo accorato invito: “Completate la vostra formazione e scendete al più presto in campo. Se vi vogliono tenere fuori aprite porte e finestre per rinnovare la politica e la società. L’Italia ve lo chiede e ve ne sarà grata”.

Un ricambio generazionale o, forse, la voglia di lasciarsi, e per sempre, alla spalle gli “impropri e perversi rapporti fra la mafia e i rappresentati delle Istituzioni”. Il riferimento di Napolitano va dritto alle indagini sulle stragi del ’92 che hanno appena mostrato il volto più oscuro e malato della politica. Indagini che devono andare avanti: “Non possiamo nascondere gli errori commessi come quelli per la strage di via D’Amelio. Bisogna avere la forza di cambiare idea quando è necessario”. E i magistrati di Caltanissetta questo coraggio lo hanno avuto, facendo carta straccia delle verità giudiziarie finora scritte e ricominciando da capo. Fra misteri e depistaggi.

Il capo dello Stato ringrazia pubblicamente “magistrati e forze dell’ordine a cui va la nostra grande riconoscenza perché tutti i capi storici di Cosa nostra, tranne uno, sono ormai all’ergastolo. La mafia non ha più un’aura di invincibilità”. Un ringraziamento preceduto da un richiamo alla magistratura che deve garantire “ordinario impegno e coraggio senza proclami”. Come ha insegnato Falcone “deve esserci una inequivoca distanza dalle posizioni di partito”. La magistratura, dunque, non faccia politica e la politica abbia il coraggio delle riforme. Napolitano le invoca più volte, a cominciare dalla “nuova riforma elettorale per riguadagnare la fiducia nei cittadini”.

Serve uno sforzo complessivo per non disperdere l’eredità di uomini come Falcone e Borsellino che un merito, dice il capo dello Stato, lo hanno già messo all’incasso: “Né l’Italia, né la Sicilia, né Palermo sono uguali a se stesse, ce lo dicono i fatti”. Il clima è cambiato. La risposta dello Stato ha fiaccato le mafie, ma guai a crederle sconfitte. Il pensiero va subito a Melissa, la studentessa uccisa da una mano ancora sconosciuta: “Non possiamo escludere un ritorno alla strategia stragista. Una cosa è certa, questi nemici del consorzio civile e di ogni regola di semplice umanità avranno la risposta che si meritano. Se hanno osato stroncare la vita di Melissa e minacciare quella di altre sedicenni aperte alla speranza e al futuro e lo hanno poi fatto a Brindisi, in quella scuola, per offendere la memoria di una donna coraggiosa, di una martire come Francesca Morvillo Falcone, la pagheranno, saranno assicurati alla giustizia. E se hanno pensato di sfidare questa stessa commemorazione, oggi a Palermo, di Giovanni Falcone, delle vittime della strage di Capaci a 20 anni di distanza, stanno già avendo la vibrante prova di aver miseramente fallito”.

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Melissa è nel cuore, nelle lacrime e nelle parole di tutti. A cominciare da quelle di Maria Falcone, sorella del magistrato ucciso, e anima della fondazione che ne porta il nome: “I fatti di Brindisi hanno riaperto la ferita di vent’anni fa. Allora mi aiutò la mia famiglia e lo scatto di orgoglio della città. Oggi bisogna dimostrare di essere uniti”. Poi, la parola grazie da lei pronunciata rimbomba e precede i nomi di Giovanni Falcone, Francesca Morvillo,Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. Servitori dello Stato vittime non solo del tritolo di Cosa nostra ma anche degli attacchi del fuoco amico. “Giovanni era circondato da risentimenti – ricorda Leonardo Guarnotta, oggi presidente del Tribunale che ne condivise le battaglie nel pool antimafia -. Addirittura si arrivò a pensare che fu lui stesso ad organizzare i fallito attentato all’Addaura. Pure Borsellino fu attaccato dai professionisti dell’Antimafia”.

Tocca al procuratore nazionale Piero Grasso, l’uomo che ricopre l’incarico che fu negato a Falcone, consegnare alla platea il ricordo di due uomini ancor prima che di due magistrati. Lo fa dalla sedia accanto a quella che occupava quando fu giudice a latere del primo maxi processo a Cosa nostra. Ricorda il “Falcone schivo e diffidente, ma spiritoso quando si sentiva a suo agio. In famiglia e con gli uomini della sua scorta”. Ricorda il Borsellino “fanciullo spiritoso e goliardico”. Due giudici, due uomini accomunati dal triste destino “della delegittimazione ancor prima della morte” e uniti nelle convinzione, “come diceva sempre Falcone che la ragione prima o poi prevale”.

Gli applausi dei ragazzi – “presidio di democrazia”, li definisce il ministro dell’Istruzione Francesco Profumo – sono scroscianti. Poi Napolitano va via, seguito dal premier Mario Monti e dal calore della gente. A Palermo lascia la sua emozione, la sua commozione e il suo monito. Passa la palla alla politica cui tocca costruire un paese migliore. Per far sì che la realtà sia diversa da quella descritta dalle parole di una canzone di Franco Battiato, colonna sonora di un video dedicato a Giovanni Falcone e proiettato al bunker: “Povera patria. Schiacciata dagli abusi del potere di gente infame, che non sa cos’è il pudore, si credono potenti e gli va bene quello che fanno; e tutto gli appartiene. Tra i governanti, quanti perfetti e inutili buffoni. Questo paese è devastato dal dolore… ma non vi danno un po’ di dispiacere quei corpi in terra senza più calore? Non cambierà, non cambierà no cambierà, forse cambierà”.


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23 Maggio 2012, 12:41

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