Narcos colombiani a Palermo| Quel summit in agriturismo

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14 Marzo 2017, 20:15

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PALERMO – C’hanno provato in tanti nell’ultimo trentennio ad attivare di nuovo un canale diretto fra la Sicilia e il Sud America per importare cocaina. Proprio come erano stati in grado di fare i mafiosi degli anni Ottanta. Ora si scopre che qualcuno, a Palermo, era riuscito a fare il salto di qualità. Quel qualcuno si chiama Antonino Lupo, fratello del boss di Brancaccio.

È stato arrestato ieri. I pm di Catania lo ritengono il regista dell’operazione che ha portato fino a Salerno il container con 110 chili di cocaina. Un affare andato male, ma ormai il ponte con il Sud America era stato attivato. Le intercettazioni svelano i retroscena dell’accordo. Vincenzo Civale, mediatore fra i palermitani e i narcos, discuteva con Peguero Cruz, che in chat usava il nickname San Martin de Porres. I “boss” del narcotraffico stavano arrivando a Palermo. Richard, anche lui colombiano e mai identificato, si era raccomandato. Bisognava impressionare positivamente i signori della droga con l’opulenza. Servivano auto, alberghi e ristoranti di lusso. Civale frenava. In Italia era meglio avere un atteggiamento di basso profilo. Anche perché Lupo aveva gli occhi della polizia addosso.

Il 18 settembre 2016 i finanzieri della Polizia tributaria di Catania si sono presentati all’aeroporto “Falcone e Borsellino” di Palermo dove era appena atterrato un aereo proveniente da Madrid. Lì trovarono Peguero e altri due sudamericani. Attendevano una terza persona che sarebbe giunta da lì a poco con un volo da Venezia. I quattro uscirono dall’aerostazione dove ad attenderli c’erano due uomini a bordo di un Suv Hyundai. Poi, di corsa verso un agriturismo di Balestrate. È qui che si tenne il summit della droga.

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Dalla lista dei passeggeri si è scoperta l’identità dei sudamericani:Lopez Jonathan Herry Vera, nato in Ecuador, e il colombiano Heson Willy Guerreio Asprilla, L’argomento della discussione si apprende dalle successive conversazioni di Civale: “Non abbiamo parlato di prezzo, ma ho parlato delle forme e di come si deve fare… ne parliamo personalmente non voglio scrivere niente qui”. Nessun dubbio da parte degli investigatori. Avevano organizzato il trasporto della droga. Il canale era stato attivato.

Con la droga fanno affari quasi tutti i clan mafiosi. In città la domanda è in forte crescita. Le famiglie accontentano i clienti e si riempiono le tascheNelle foreste della Colombia un chilo di foglie di coca costa 80 centesimi di euro. La pasta di cocaina si vende poco più di 700 euro al chilo. La cifra sale a mille euro quando si ottiene la cocaina base. Questo è il momento in cui intervengono i narcos canadesi, alcuni sono legati alle famiglie siciliane emigrate in America, o messicani che si fanno la guerra a colpi di morti ammazzati per accaparrarsi i canali di approvvigionamento. Fino a oggi i clan calabresi e, in secondo piano, quelli campani hanno fatto la voce grossa, stringendo accordi con i cartelli. La ndrangheta fa giungere la droga in Italia attraverso i porti di Rotterdam, Anversa e Gioia Tauro. Ed è ora che intervengono i siciliani, comprando la cocaina a 35-40 mila euro mila euro al chilo. Un chilo di polvere bianca messo in mano ai pusher che invadono la città di Palermo frutta 250 mila euro. Da 80 centesimi a 250 mila euro: ecco spiegato, con la forza dei numeri, il grande business della droga. 

Finora era andata così con i siciliani “costretti” a rivolgersi a calabresi e campani. L’inchiesta su Antonino Lupo spariglia le carte. Niente intermediari, ma acquisti diretti con i cartelli sudamericani. 

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14 Marzo 2017, 20:15

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