Narcotraffico a Catania, il porto e i container carichi di cocaina

Cocaina e container, il ruolo dei catanesi nel narcotraffico nel porto

I movimenti di droga e i clan

CATANIA – Centinaia di chili di cocaina dal sud America a Catania. A gestire i contatti con i narcos sono i calabresi, diventati i veri protagonisti del narcotraffico internazionale in Italia. I catanesi fanno da terminali dopo che il porto di Gioia Tauro è diventato troppo sorvegliato dalle forze dell’ordine. E in cambio prendono una percentuale o vengono ripagati in cocaina, da smerciare in proprio.

A raccontare il movimento all’ingrosso della droga nel porto di Catania è l’ordinanza di custodia cautelare con cui martedì 18 marzo sono state arrestate sei persone. Tutte coinvolte a vario titolo nel traffico di droga. Al suo interno le storie di diversi carichi di cocaina e del lavoro per portarli fuori dalle strutture del porto.

I catanesi, secondo le indagini, avrebbero avuto soprattutto il compito di controllare che la droga arrivasse e che uscisse fuori dal porto. Ma come documentato dalle indagini le cose per i narcotrafficanti sono andate storte molte volte, con diversi carichi persi o sequestrati dalle forze dell’ordine.

I movimenti nel porto di Catania

Carmelo Liistro, collaboratore di giustizia ed ex membro del clan Cappello, racconta in un interrogatorio che gli affari nel porto di Catania sono gestiti dal clan Pillera Puntina. Che prenderebbe tra il 30 e il 40 per cento del valore delle spedizioni di droga nel porto di Catania per farle uscire dall’area e farle entrare nel circuito del narcotraffico.

L’indagine su due dei protagonisti dell’inchiesta di martedì scorso, Angelo Sanfilippo e suo figlio Melino, nasce indirettamente dall’interrogatorio di Mario Strano, condannato per associazione mafiosa e traffico di stupefacenti e capo del clan che opera nella zona di Monte Po.

Strano riferisce di carichi di droga in arrivo dal sud America nascosti in container adibiti al trasporto di banane e altra frutta esotica. Destinataria, un’azienda di Licata che si appoggiava a un’impresa di logistica in mano allo stesso strano.

Nel frattempo un dipendente dell’azienda Est, Europea servizi terminalistici, che movimenta container nel porto di Catania – azienda che non è in alcun modo coinvolta nell’inchiesta -, presenta una denuncia. In cui dice di avere trovato delle parti di motori refigeranti per container sul molo Crispi. Il sospetto è che nel vano motore potesse essere nascosta della droga.

L’indagine su Angelo Sanfilippo

È grazie a questi spunti che gli investigatori del Gico della guardia di finanza scovano due diversi carichi di cocaina. Ed è così che si imbattono in Angelo Sanfilippo, dipendente della Est. Che però, riferisce l’ordinanza di custodia cautelare che lo riguarda, da tempo non va al lavoro. Proprio in occasione del ritrovamento dei carichi di droga Angelo Sanfilippo è nei paraggi. A bordo di uno scooter elettrico o di una Bmw insieme a un amico.

Gli uomini della finanza prendono nota e indagano: Sanfilippo è già stato condannato per fatti di droga e ha rapporti con Angelo Di Mauro detto “Veleno”, esponente del clan Pillera Puntina. È abbastanza per avviare le intercettazioni.

Il sequestro da 106 chili

Sanfilippo cerca di prendere precauzioni, cambia spesso i telefoni e parla in codice con il figlio Melino, anche lui dipendente della Est e ancora operativo nel movimento di container dentro il porto di Catania.

Ma è lo stesso ascoltato mentre cerca di fare uscire dal porto i diversi carichi di cocaina che, come raccontano le carte, arrivano a Catania su impulso dei calabresi della cosca Molè di Gioia Tauro o di Giuseppe Curciarello e con l’intermediazione di uomini dei clan etnei. Tra gli altri le carte citano Nino Vasta, organico ai Cappello, che avrebbe fatto da punto di riferimento dei calabresi per la gestione della droga al porto.

L’episodio del container rotto e dei tentativi di recuperare i 106 chili di cocaina al suo interno, poi sequestrati dalle forze dell’ordine, è esemplare delle dinamiche criminali che si attivano in questi casi. Un uomo dei calabresi poi diventato collaboratore di giustizia, Errico D’Ambrosio, è in città per risolvere il problema di un carico arrivato a Catania dal sud America ma a rischio di sequestro.

Il container squarciato

La droga è stata infilata nel tetto del container che poi è stato saldato, ma la copertura si apre e rischia di essere notata dalle forze dell’ordine. D’Ambrosio arriva in città e alloggia in un bungalow in legno con piscina. Si vede con Nino Vasta ed entrambi entrano al porto grazie ad Angelo Di Mauro, che fa alzare la sbarra di sicurezza parlando con il sorvegliante.

I tre a quel punto parlano con Angelo Sanfilippo e con il figlio Melino. Il primo racconta che lo squarcio nel container era abbastanza grande da poter essere notato. E che aveva cercato di rattoparlo con del nastro adesivo, senza riuscirci. Melino, per renderlo meno visibile, aveva fatto in modo di mettere un altro container sul tetto di quello danneggiato. Ma in questo modo la droga non era recuperabile, almeno al momento.

Due giorni dopo gli agenti della guardia di finanza sequestrano la droga. Circola voce che abbiano sequestrato 96 chili di cocaina invece di 106. E D’Ambrosio racconta di avere sospettato che sia stato Melino Sanfilippo a prendersi i restanti dieci.


Partecipa al dibattito: commenta questo articolo

Segui LiveSicilia sui social


Ricevi le nostre ultime notizie da Google News: clicca su SEGUICI, poi nella nuova schermata clicca sul pulsante con la stella!
SEGUICI