11 Ottobre 2012, 18:35
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MESSINA – Il sogno Aicon finisce nel peggiore dei modi: col naufragio. Il tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto (Me) ha infatti dichiarato il fallimento della Aicon Yachts spa, la società di yacht di lusso creata dall’architetto messinese Lino Siclari. Fu lui che, negli anni Novanta, si mise in testa di costruire nel cantiere di Giammoro imbarcazioni dal design moderno e accattivante. Una idea che piacque tanto che, nel giro di pochi anni, l’azienda approdò a Piazza Affari nel segmento Star. Unica azienda siciliana ad essere quotata. Era la primavera del 2007 e Aicon fatturava quasi 127 milioni di euro con un utile di 17 milioni di euro. Un sogno. Un sogno tutto siciliano durato, però, troppo poco. Appena quattro anni dopo, infatti, i numeri raccontavano tutta un’altra storia: un fatturato consolidato di 11 milioni di euro e una perdita di 32. E la tempesta era solo all’inizio, sottolineata, qualora ce ne fosse bisogno, dalla sospensione del titolo in Borsa a tempo indeterminato.
“Ben venga un compratore”, aveva dichiarato Siclari al mensile “S” proprio un anno fa, aggiungendo: “Mi auguro che un investitore si faccia seriamente avanti, anche se penso che questo non risolverebbe i nostri problemi. Non basta cacciare i soldi per risollevare le sorti di Aicon. Piuttosto è necessario che arrivino nuove commesse per far lavorare l’azienda. Sono estremamente stanco”. Quindi aveva aggiunto: “Sarei anche disposto a mettermi da parte”.
Ma oggi non ce n’è più bisogno. Dopo il tentativo, rivelatosi vano, dell’amministrazione straordinaria concessa tre mesi fa, oggi il tribunale ha dichiarato il fallimento e nominato curatore fallimentare l’avvocato Domenico Cataldo. Su Aicon Yachts pendono infatti debiti per 96 milioni (30 milioni verso i creditori privilegiati, che vanno rimborsati integralmente, e 66 verso i chirografari, cioè quanti non vantano particolari garanzie), mentre sulla capogruppo Aicon spa per 50 milioni, 40 verso creditori privilegiati e 10 verso i chirografari. Un macigno insostenibile per quel piccolo miracolo economico che, strada facendo, si è appannato sempre più, tanto da far pensare anche che la quotazione in Borsa sia stato il passo più lungo della gamba.
E adesso, come sempre accade in queste storie, resta da capire che cosa ne sarà dei circa 500 lavoratori, ormai da due anni in cassa integrazione, e degli altri 500 operai e artigiani che lavoravano nell’indotto. Ma la Sicilia a queste notizie sembra quasi aver fatto il callo.
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11 Ottobre 2012, 18:35