25 Settembre 2009, 19:22
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Né Giancarlo Caselli, né Giuseppe Pignatone, allora rispettivamente procuratore capo e sostituto alla Dda di Palermo, conoscevano il nome di Luigi Ilardo, il mafioso-confidente che aveva portato nell’ottobre del 1995 a individuare il covo di Bernardo Provenzano. La gestione della fonte confidenziale è stata volutamente lasciata alla polizia giudiziaria e così i due magistrati sono venuti a conoscenza della mancata cattura dell’allora superlatitante solo quando il caso è scoppiato sui giornali. I due magistrati hanno testimoniato al processo che vede il generale Mario Mori e il colonnello Mauro Obinnu (allora ai vertici del Ros) accusati di aver volutamente evitato il blitz di San Giuseppe Jato in cui si sarebbe potuto catturare Bernardo Provenzano. In aula è stato sentito anche il teste principale del processo: il colonnello Michele Riccio.
Il superteste. E’ tornato a deporre Michele Riccio, l’ufficiale che fra il 1994 e il 1996 ha raccolto le confidenze di Luigi Ilardo, capomafia di Caltanissetta. Si è presentato con tre floppy disc, sbucati fuori solo ora, in cui ci sarebbero tutte le sue relazioni inviate nel tempo al Ros dei carabinieri e alla Dia anche dal capitano Damiani. La corte ha ammesso la nuova prova e ha disposto una perizia per verificarne il contenuto e l’attribuzione delle scritte nelle etichette. “Mi sono dimenticato dei floppy che erano separati dall’altro materiale, come le mie agende – dice Riccio – i nastri registrati che avevo detto a mia moglie di nascondere e di tirare fuori se mi fosse accaduto qualcosa”. Tornando sulla vicenda Riccio ha confermato di aver consegnato tutte le relazioni del caso a Mori. Il colonnello ha inoltre confermato che non tutto quanto gli fosse stato riferito da Ilardo in merito ai rapporti fra i mafiosi e i politici è contenuto nelle relazioni. Ha parlato anche del fatto che – secondo quanto riferito da Ilardo e trascritto nelle sue agende – nel 1994 alla cosche fu dato ordine di appoggiare il partito di Forza Italia in virtù di un canale aperto da Provenzano con Marcello Dell’Utri. Una deposizione che conferma quella fatta da Riccio nel 2002 nel processo in primo grado al senatore di Forza Italia.
Caselli. Il procuratore di Torino, a Palermo dal gennaio del 1993 al luglio del 1999, non ha un chiaro ricordo della vicenda. Ha tenuto a sottolineare come era a conoscenza dell’indagine di Riccio, senza saperne i dettagli, e che spingeva per una collaborazione formale della fonte confidenziale. “Solo dopo la morte di Ilardo ho saputo di Mezzojuso – ha detto Caselli – anche dei contrasti e delle frizioni”. Il magistrato ha inoltre ricordato come fossero sorti problemi fra la procura di Palermo e il Ros quando si è trattato della mancata perquisizione del covo di Totò Riina. “Proprio per questo precedente – ha sottolineato Caselli – si dovevano mantenere ottimi rapporti con il Ros, non è arrivata nessuna segnalazione di infedeltà”.
Pignatone. L’attuale procuratore capo di Reggio Calabria ha, invece, ricordi più circostanziati. Era lui il magistrato delegato da Caselli a seguire le evoluzioni dell’ “indagine un po’ particolare” del colonnello Riccio fino al marzo del 1996. “Di questa indagine non deve parlarne con nessuno” avrebbe detto l’allora procuratore capo a Pignatone, ai tempi sostituto procuratore. “I primi mesi furono di entusiasmo e ottimismo – ricorda – c’erano informative frequenti e latitanti catturati”. Ma, per quanto Pignatone ne sapesse, Riccio ha sempre fatto parte della Dia mentre fra agosto e novembre del 1995 il colonnello viene “restituito” dalla Dia al Ros. Conferma di aver toccato con mano un pizzino di Provenzano che Ilardo aveva dato a Riccio, salvo poi restituirglielo per volere della fonte. E dai suoi archivi, Pignatone, tira fuori un appunto datato 1 novembre 1995, il giorno dopo l’incontro fra Ilardo e Provenzano. Nel documento, che riporta sostanzialmente quanto riferito da Riccio, non c’è nulla riguardo l’incontro fra Ilardo e Provenzano. Pignatone ha infine sottolineato come se fosse stato informato di quanto fossero vicini a Provenzano avrebbe fatto tutto il possibile. Soprattutto alla luce della vicenda del mancata perquisizione del covo di Riina. “Se c’era qualcosa di strano, figuriamoci – dice facendo intendere che al minimo sospetto sarebbero intervenuti – a maggior ragione col Ros” visti i precedenti.
Il prossimo 7 ottobre a Roma sarà sentito Nino Giuffrè, ex braccio destro di Provenzano, oggi collaboratore di giustizia. Fra i testimoni c’è anche Massimo Ciancimino. L’ipotesi accusatoria è che la mancata cattura di Provenzano rappresenti il prezzo delle presunte trattative fra Stato e Cosa nostra per far cessare la stagione stragista del ’92-’93.
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25 Settembre 2009, 19:22