19 Agosto 2016, 06:00
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PALERMO – La caccia li ha riportati a New York. È nella Grande Mela che pubblici ministeri e finanzieri della polizia tributaria di Palermo cercano le tracce del tesoro di don Vito Ciancimino. Una ricerca mai interrotta, che di recente ha ricevuto nuovi impulsi investigativi. Il sequestro che ha colpito gli eredi di Ezio Brancato, socio di don Vito negli affari del gas, è la spia di un’inchiesta molto più ampia.
Le rotte seguite sono almeno cinque: Andorra, Montreal, Panama, Kuala Lumpur e New York. Andorra è il principato dove sono stati trovati, nelle cassette di sicurezza di tre banche, soldi e gioielli dei Brancato. New York è la città dove già Giovanni Falcone aveva ipotizzato che Vito Ciancimino trasferisse i miliardi di lire accumulati in Sicilia per trasformarli in dollari e proprietà immobiliari. Forse fa parte degli investimenti anche l’acquisto di cinque appartamenti a New York nell’esclusiva “Trump tower”. Fu il figlio di don Vito, Massimo, a parlarne nel corso di una delle tante conversazioni, ricche di spunti seri e parole in libertà.
Indecifrabile il filone investigativo che porta in Canada. Le uniche notizie che conosciamo sono datate e risalgono al ritrovamento di un appunto di Ciancimino senior. C’era scritto “Canada-Bono Pozza”. Bono era il cognome di una famiglia impegnata nel narcotraffico. Michael Pozza era un canadese di origini siciliane che si muoveva nell’ambiente mafioso di Montreal. Fu assassinato il 28 settembre del 1982 nel Quebec. Addosso aveva il promemoria di un investimento milionario eseguito per conto dell’ex sindaco di Palermo.
Nei documenti riservati dello scandalo Panama Papers è saltato fuori il nome di un fiscalista romano che lavorava anche per le società con cui Ciancimino jr avrebbe organizzato una presunta frode fiscale milionaria. Il processo è ancora in corso a Reggio Emilia. È una delle tante grane giudiziarie di Massimo, condannato con sentenza definitiva per riciclaggio, in appello per avere nascosto della dinamite nel giardino di casa, sotto processo per calunnia a Bologna e Caltanissetta, imputato per concorso esterno in associazione mafiosa nel processo sulla Trattativa di cui è anche un testimone chiave dell’accusa.
Infine c’è la Malesia, dove gli inquirenti italiani si sono scontrati con una vicenda che si presta a una doppia lettura: bluff o mistero. Un paio di anni fa, Ciancimino mise sul piatto dei magistrati di Palermo un tesoretto di 12 milioni di dollari “per interrompere tutte le speculazioni fatte per delegittimarmi. Chi dice che ho collaborato con la Procura di Palermo solo per salvare il mio patrimonio adesso ha la dimostrazione che non è vero”.
Il dubbio è rimasto, visto che dei soldi i finanzieri, delegati dal pubblico ministero Dario Scaletta, hanno trovato solo le briciole: un paio di migliaia di ringitt che, al cambio, valgono poche centinaia di euro. Eppure risulterebbero movimenti di denaro riconducibili alla madre di Vito Ciancimino, Epifania Scardino. Ad operare sul conto della banca di Kuala Lumpur erano due intermediari cinesi. Si è perso del tempo prezioso. Non per demeriti investigativi, ma perché ci fu un iniziale errore nell’individuazione del numero di conto, aperto alla fine degli anni Settanta, dovuto a una errata trascrizione nel verbale reso da Ciancimino.
Del gruzzolo, però, sono stati trovati solo gli spiccioli. Spiccioli, rispetto al tesoro di don Vito, sarebbero persino i sessanta milioni di beni scovati e sequestrati, negli anni e per i quali si attende ancora l’esito di una perizia in sede di misure di prevenzione. Vito Ciancimino è morto nel 2002, ma i suoi investimenti hanno continuato a fruttare. Nel frattempo i pm Siro De Flammineis e Gaspare Spedale, grazie al lavoro dei finanzieri del Gico, hanno ricostruito i passaggi di denaro degli eredi Brancato.
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19 Agosto 2016, 06:00