25 Settembre 2018, 18:04
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PALERMO – Una barca decorata con una corona di fiori, sulla quale si staglia una cascata composta dalle coperte termiche utilizzate per coprire i migranti nel corso degli sbarchi; un container con all’interno calchi colorati che riproducono cuori e cervelli, adagiati sulla sabbia; un tunnel blu su una rampa di scale, che sale verso la salvezza o scende verso l’inferno; o ancora, una stanza buia che ospita proiezioni e suoni di scene di guerra e disperazione, ai piedi macerie di edifici, tutto intorno solo il buio. Chiude lo stomaco e apre la mente, il percorso sensoriale ‘No Name’, che da oggi ‘contamina’ gli spazi del dipartimento di Architettura dell’Università di Palermo. Il dipartimento ospiterà la mostra fino al 5 novembre, e sono già programmati incontri e appuntamenti che coinvolgeranno ospiti speciali e operatori di ‘Manifesta 12’.
Il tema, tanto attuale quanto difficile da spiegare senza viverlo in prima persona, è quello di mettere insieme i pezzi mancanti dei fenomeni migratori: quello che non sappiamo del viaggio, prima dello sbarco sulle nostre coste. Il progetto nasce dalla collaborazione tra la direzione artistica di Palazzo Cafisi a Favara, il gruppo PAC ed esterni come lo scultore Giuseppe Agnello e lo Studio Forward di Diego Emanuele. Un secondo capitolo che prosegue quanto già fatto a Favara, che in Unipa ha trovato un nuovo palcoscenico e un grande alleato: studenti e volontari si sono uniti al comune obbiettivo di allestire il percorso, spinti dal senso del dovere di dar voce a ciò che veicola. Come Filippo Sucato, del corso di laurea magistrale in Architettura: “Appena sono stato interpellato dal gruppo PAC – dice – ho mollato tutto quello che stavo facendo per me e mi sono dato da fare”.
‘No Name’ va in scena con dodici opere, concettuali, fotografiche, scultoree e immersive, che mettono in luce le cause umane e le possibili vie d’uscita dell’imponente e spesso tragico fenomeno migratorio. Persino i nomi sono di forte impatto: “Un carico di sogni”, “Traversata” e “Macerie” sono solo alcuni. “Quando ho ideato la mostra, ho detto ‘voglio far stare male la gente'”: diretto e senza mezzi termini il messaggio di Valentina Pulvirenti di PAC, la mente dietro a nove opere, alla conferenza di presentazione. E in effetti, le sensazioni che si provano nel percorrere il viaggio ‘No Name’ è praticamente impossibile viverle senza trasporto emotivo. “È uno shock”, è il commento corale del nutrito gruppo di visitatori d’eccezione della mostra: il rettore, Fabrizio Micari, il presidente della Scuola Politecnica, Maurizio Carta, il direttore del Dipartimento di Architettura, Andrea Sciascia, uno dei proprietari di Palazzo Cafisi, Nicola Costanza, il professor Giuseppe Guerrera che ha curato l’allestimento dell’opera ‘Transumanza’, e il direttore generale di Manifesta 12, Roberto Albergoni.
Sì, perché ‘No Name’ è strettamente connesso al tema centrale della biennale nomade europea che sta facendo tappa a Palermo, e costituisce un nuovo tassello della già prolifica collaborazione “D’Arch X Manifesta”. “Manifesta tratta la migrazione di specie, ma in ultimo la convivenza – spiega Albergoni -. Il tema è che il giardino, come spazio in cui si esercita la convivenza, sia uno spazio curato. Al di là delle posizioni politiche che ciascuno ovviamente avrà, c’è un tema che è quello della conoscenza. Ad esempio di dati reali, dei numeri delle migrazioni, che non giustificano allarmi; e poi conoscenza dell’altro, per scongiurare la paura di quello che sta accadendo”.
Un percorso condiviso da tutti i presenti al tavolo della conferenza: “Se siamo la Capitale della Cultura, la cultura dev’essere a 360 gradi – è il monito di Micari, che ha già manifestato interesse per l’approfondimento universitario sulle migrazioni in una lettera a tutti i dipartimenti -. Cultura è anche crescita culturale e sociale nella comprensione di questi fenomeni, ma anche nella gestione di questi temi cercando di trasformarli in grandi opportunità”. “La mostra originale, a Favara, è volontariamente antiretorica – commenta Carta – e si rivolge direttamente a emozioni, coscienza civile e militanza. Il fatto che sia nel luogo principe della didattica universitaria, la fa diventare uno stimolo quotidiano. Anche perché di un argomento quotidiano parla”.
E parla dritto al cuore, alla pancia, alle emozioni del fruitore. Ci si sposta, frastornati, tra studenti rapiti dai propri progetti e tragedie disumane espresse in forma d’arte. Fotografie e installazioni documentano le condizioni disastrose delle imbarcazioni su cui i migranti affrontano viaggi impensabili, e atmosfere grottesche eppure ancora lontane dalla realtà accompagnano i visitatori in un cammino, le cui “stazioni” sono visitabili da tutti secondo gli orari d’apertura del dipartimento, da affrontare con grande consapevolezza. “Vi prego di dare un senso a tutto questo – è la raccomandazione di Valentina Pulvirenti a chiunque voglia prender parte a ‘No Name – anche se non vi piace. Sta a voi decidere cosa fare, se aprire una porta oppure no. Sapete che vi parlerà di qualcosa di scomodo: in quel momento, è il vostro inconscio a dirvi cosa fare. E anche se la chiudete, state comunque facendo un dialogo con voi stessi. È questo il senso, e lo darete voi”.
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25 Settembre 2018, 18:04