29 Giugno 2016, 06:10
2 min di lettura
PALERMO – Vito Galatolo va ai domiciliari. Dopo la “bocciatura” del mese scorso, ora è il Tribunale Riesame a scarcerare il boss dell’Acquasanta che si è pentito. Non si conoscono ancora le motivazioni, ma i giudici dovrebbero avere accolto la richiesta del difensore, l’avvocato Fabrizio Di Maria, sulla base del venir meno delle esigenze cautelari per il mafioso che raccontò del tritolo pronto per uccidere il pubblico ministero Antonino Di Matteo.
Il mese scorso, invece, era stato il giudice per l’udienza preliminare Giuseppina Cipolla a bollarlo come “reticente ed elusivo” e a considerare le sue dichiarazioni “prive di un carattere di novità e generiche”. Secondo il gup, non c’è un “ampio margine di certezza che il Galatolo abbia reciso ogni collegamento con la criminalità organizzata così da non potersi escludere che lo stesso sia stato elusivo”. Da qui il no alla scarcerazione.
Il 13 aprile scorso, nell’ambito del processo denominato Apocalisse, Galatolo è stato condannato a sei anni e otto mesi di reclusione. Gli hanno concesso le attenuanti generiche, ma non quella specifica per il collaboratori di giustizia. Non basta pentirsi per ottenerla, serve “una concreta e fattiva attività di collaborazione”. Così come lo status di collaboratore e protetto di Stato, riconosciuto a Galatolo, da solo non basta per guadagnarsi una misura cautelare meno afflittiva.
Il giudice Cipolla aveva ritenuto le sue dichiarazioni come “confermative degli elementi di prova già esistenti a carico di alcuni imputati, posto che per altri il Galatolo ha riferito in modo generico, incompleto se non addirittura reticente”. In particolare i verbali del boss dell’Acquasanta “tendono ad alleggerire la posizione di alcuni soggetti (Santo Graziano e Filippo Matassa, ndr) aggravando quella di altri e quindi sembrano frutto di una precisa strategia difensiva”.
Nei confronti di Graziano e Matassa, che è anche suo suocero, “Galatolo ha mantenuto un atteggiamento non pienamente collaborativo teso a sminuire la responsabilità dei due se non addirittura, come nel caso di Graziano, ad escludere ogni coinvolgimento nell’associazione”. Sono i due soggetti che, annotava il giudice, “assicuravano il costante mantenimento” di Galatolo “attraverso l’invio di ingenti somme di denaro provenienti dalla cassa della famiglia mafiosa di riferimento”. Non si può escludere, insomma, che il boss possa avere scelto di riservare loro un trattamento di favore.
Al di là della valutazione sul merito delle sue dichiarazioni, ci sono dei paletti che riguardano le esigenze cautelari. Sono la reiterazione del reato, l’inquinamento probatorio e la pericolosità sociale. Mandare Galatolo agli arresti in casa garantirebbe il rispetto dei tre parametri.
Pubblicato il
29 Giugno 2016, 06:10