06 Febbraio 2013, 18:05
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PALERMO – Avrebbe negato di aver pagato il pizzo favorendo la cosca mafiosa di Borgo Vecchio guidata da Antonino Abbate. Questa l’ipotesi di reato contestata a Carmelo Santoro, titolare del bar Gian Flò di via Emerico Amari a Palermo.
Stamane in aula, durante l’udienza del processo in cui Santoro è imputato per favoreggiamento, il pubblico ministero Roberta Buzzolani ha ricostruito il coinvolgimento del titolare del bar nelle indagini dei carabinieri del comando provinciale che portarono, nel giugno del 2010, all’arresto di 15 persone tra i quali i presunti reggenti dei mandamenti di Porta Nuova e Borgo Vecchio.
Dalle indagini, infatti, sarebbe emerso che il titolare della nota caffetteria, oltre ad aver pagato il pizzo, sarebbe stato costretto ad acquistare il caffè da un fornitore “amico” dello stesso Abbate. Il 25 marzo del 2010 i carabinieri pedinarono Salvatore Ingrassia e Giovanni Trapani, indicati come uomini di fiducia di Abbate, mentre accompagnavano Santoro al cospetto del boss, nel suo ufficio di via Spezio riempito di microspie.
Ed è proprio in quell’ufficio che Abbate avrebbe fatto incontrare Santoro con Leonardo Leale, “un carissimo amico” da cui comprare il caffè. A confermare l’incontro tra Abbate, Santoro e Leale anche la testimonianza resa stamane in aula di un maresciallo dell’arma che si occupò del pedinamento.
Secondo il pm Buzzolani, Carmelo Santoro sarebbe sceso a compromessi con la famiglia di Borgo Vecchio. Ipotesi respinta dall’imputato. Il legale della difesa, l’avvocato Mario Bellavista, sostiene che il titolare del bar non si sarebbe piegato al racket pizzo ma avrebbe fatto un prestito di denaro ad Abbate. L’udienza è stata rinviata a marzo.
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06 Febbraio 2013, 18:05