01 Novembre 2014, 19:22
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“Anche nel parlamento regionale vi sono eletti dalle cosche e non c’è consiglio comunale in Sicilia che non abbia un eletto dalla mafia. Dobbiamo avere la coscienza che il mondo politico non ha rotto con la mafia”.
Lo ha detto il presidente della Regione, Rosario Crocetta, secondo un lancio di agenzia. Al posto della valanga di reazioni prevedibili, si è levato un clamoroso semi-silenzio. Una voce, per la verità, ha espresso con forza il suo disappunto, quella di Nello Musumeci: “Le affermazioni fatte dal presidente Crocetta ieri a Castelvetrano sono di una gravità inaudita. Dire che all’Ars sono presenti deputati eletti dalle cosche e che in tutti i Consigli comunali dell’Isola c’è almeno un consigliere sostenuto dalla mafia non può essere stata una battuta. Ecco perché, anche per il ruolo che occupo, ho il dovere di chiedere al governatore di riferire, entro pochissimi giorni, nomi e cognomi dei deputati beneficiati da Cosa nostra alla Commissione Antimafia o, se preferisce, a qualsiasi Procura della Repubblica”.
“Non si può minimizzare o far finta di niente: lo impone la necessità di fare chiarezza sulle collusioni mafia-politica di cui il governatore è a conoscenza – continua Musumeci -. Ma lo impone anche la necessità di impedire che le accuse generalizzate possano delegittimare ulteriormente le istituzioni dell’Isola e quanti deputati, sindaci, assessori e consiglieri sono impegnati a produrre ogni giorno ‘politica pulita’ che, per fortuna, in Sicilia è ancora largamente maggioritaria”.
Una reazione corretta, ma, appunto, istituzionale, del presidente della Commissione Antimafia. Oltre i confini della nota, regnano l’indifferenza, le bocche chiuse, quasi l’insofferenza, lo sbuffo percettibile di noia, per essere costretti a occuparsi di questioni che conservino la parola “mafia” nel frontespizio.
Ricapitoliamo. Il governatore della Sicilia afferma, in sostanza, che nel parlamento siciliano ci sono onorevoli compromessi con Cosa nostra (altrimenti perché i capibastone dovrebbero sponsorizzarli, per simpatia umana?) e non succede (quasi) niente, mentre nei giorni caldi della giunta in divenire fioccava un comunicato al secondo. Come mai?
Subito, la premessa obbligatoria. Crocetta sta insistendo col mantra dell’antimafia, perché è il crisma della sua politica e per una comprensibile sindrome d’accerchiamento. La soluzione della crisi ha rafforzato in superficie l’inquilino di Palazzo d’Orleans, dimezzato, però, nel campo delle scelte spendibili, tra le catene romane, con l’incombere di un commissariamento soft sull’economia, e il collare dei partiti che hanno riempito l’album della giunta con le loro figurine di riferimento. Normale che Saro stia cercando di riguadagnare, in chiave simbolica, lo spazio di potere sottratto. La disfida con i grillini, l’accusa di ‘filomafiosità’, il dito puntato contro l’Ars, sono le premesse di una linea d’attacco che, nei prossimi giorni, potrebbe conoscere altri capitoli. Si legge chiarissimo il tentativo di accreditarsi come unico portatore sano di un’autentica etica antimafia: è la linea del Piave, l’ultima trincea.
Resta da comprendere il motivo di un così diffusa invisibilità, dopo le accuse. Sarà una strategia che tende al minimalismo (non gli rispondiamo per non dargli importanza), eppure si ha la netta impressione che l’inerzia delle cose conduca alla scomparsa di un tema serio come la mafia dal dibattito, almeno nel modo appropriato, nelle declinazioni di ragionamento più salutari.
Mafia e antimafia da tempo sono le marionette prescelte sul palcoscenico di polemiche scatenate per il calcolo del consenso. Il confronto sui contenuti è stato sostituito dai reciproci mascariamenti, dalla misurazione del tasso di antimafiosità nel sangue dell’avversario. La bellicosa consuetudine ha prodotto una confusione che sta tracimando nell’indifferenza. La gente non ne può più. Non intravvede più nel discorso pubblico sulla mafia un incrocio utile per svoltare. Non è interessata alle analisi, poiché sono corrose dal tarlo della faziosità. Le persone, i cittadini, gli elettori pensano che non valga la pena di costruire una sincera forma di comunicazione sulla legalità e sul rinnovamento con simili chiari di luna. Sanno cogliere l’elemento strumentale e dunque falsificato del contesto e lo rifiutano. Ma rifiutano, in blocco, tutto il materiale, non solo la porzione avariata. Le ‘sparate’ a casaccio, senza pezze d’appoggio – l’anatema castelvetranense, lo show grillino sulla finanza che corrompe i boss – aggiungono caos al disorientamento.
La politica si adegua al canone dell’irrilevanza. Si lascia contagiare dalla medesima ignavia. I politici sono pronti a recarsi in processione organizzata presso gli altari laici allestiti nell’anniversario delle stragi. Trascorsi il 23 maggio e il 19 luglio, dismessi gli altari, torna il silenzio su argomenti urgentissimi, interrotto da intermittenti proclami retorici. La mafia delle chiacchiere ha annegato ogni riflessione sui fatti, sostituendo il marchio originale del riscatto con l’etichetta delle rivoluzioni di cartapesta.
Fermatevi, verrebbe allora da gridare. Non scherzate con la mafia. Fermatevi perché il danno può risultare insanabile, se già non lo è. Una terra crocifissa dalla cosche sta finendo di smemorarsi e finirà per dimenticarsi di sé, per abbondanza di suoni stonati. Una tragedia sopra una tragedia.
I martiri sono morti. Cosa nostra esiste tuttora, non appartiene ai libri di una storia trapassata. L’uomo della foto a corredo delle parole ha seminato sangue e morte ovunque. Non è uno spettro, anche se volentieri avremmo rinchiuso Totò Riina e i suoi sodali di mostruosità nel recinto dei miraggi perversi. Nella notte degli incubi e del male che sempre è il preludio del risveglio.
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01 Novembre 2014, 19:22