19 Gennaio 2015, 16:52
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PALERMO – Oggi sono tre anni esatti. Era il 19 gennaio del 2012 quando Giovanni Lo Porto fu rapito, un giorno che segnò l’inizio di un silenzio esasperante. Nessuna notizia, da allora, è infatti mai arrivata in merito al giovane cooperante palermitano che si trovava a Multan, nel nord del Pakistan, quasi al confine con l’Afghanistan.
Quella terra sembra averlo inghiottito facendo finire la sua famiglia, gli amici e i colleghi in un vortice di domande alle quali non riescono ancora trovare risposte. Oggi più che mai, quello del 38enne chiamato da tutti “Giancarlo” è un rapimento avvolto nel mistero, avvenuto nel periodo in cui lavorava per una organizzazione non governativa tedesca, la “Wel Hunger Hilfe”. L’obiettivo di Lo Porto e dei volontari di altre cinque ong era di soccorrere la popolazione del Pakistan devastata dall’alluvione. Ma fu sorpreso nella casa-ufficio dove risiedeva da una banda armata che lo portò via insieme al collega tedesco Bernd Muehlenbeck, 59 anni.
Quest’ultimo è stato liberato lo scorso ottobre, dopo due anni e mezzo di prigionia e abbandonato in una moschea alla periferia di Kabul. Era stato proprio il volontario tedesco ad apparire in un video che risale al dicembre 2012, per chiedere aiuto al proprio governo. Il filmato pubblicato su YouTube fece il giro del mondo e il fatto che Muehlenbeck parlasse al plurale rappresentò un segnale positivo per tutti coloro che attendevano con ansia notizie del palermitano.
Oggi la famiglia di Giovanni Lo Porto sceglie di non intervenire, seguendo la linea del silenzio incoraggiata dalla Farnesina sin dal giorno del rapimento, ma il mondo del terzo settore e delle organizzazioni non governative, insieme agli amici e ai colleghi di Lo Porto, si è mosso in questi anni per concentrare l’attenzione su Giovanni. A partire da una petizione destinata alle massime autorità italiane che è possibile firmare su www.change.org, fino alla manifestazione che in occasione del secondo anno dal rapimento del volontario ha permesso a centinaia di uomini e donne in tutto il mondo di esporre dei cartelli con la scritta “Giovanni Lo Porto libero”.
Dopo la liberazione di Greta e Vanessa, rapite in Siria, il pensiero va infatti a chi è ancora nelle mani delle bande armate. Quella che prelevò Giovanni e il collega tedesco quel drammatico giorno, era formata da quattro uomini. A trovarsi di fronte a loro una consulente tedesca, anche lei cooperante. “Quando i rapitori fecero irruzione nell’edificio – spiega Andrea Parisi, volontario di una ong di Bergamo che ha lavorato a stretto contatto con Lo Porto – le chiesero del denaro, dicendole di andarlo a prendere. Si trattò di una scusa per farla allontanare e fuggire indisturbati con Giovanni e Bernd. Io mi trovavo a Multan da alcuni mesi, Giovanni dopo avermi lasciato le consegne del progetto che aveva già portato quasi a termine, era tornato soltanto da qualche giorno. Nulla lasciava presagire quello che sarebbe successo”.
“La zona in cui abitavamo e lavoravamo – aggiunge – era ben sorvegliata e le nostre precauzioni erano considerate preventive più che necessarie. Quindi evitavamo di muoverci da soli, di effettuare spostamenti inutili e cercavamo sempre di essere coordinati con le autorità. Mai avremmo pensato che avrebbero colpito al cuore delle nostre organizzazioni: in casa. E forse – precisa Andrea Parisi – il segnale che hanno voluto lanciare è stato proprio questo”. Andrea e Giovanni abitavano a circa un chilometro di distanza: in quella zona non era mai successo nulla. “Una città enorme – prosegue – in cui non c’era un’atmosfera preoccupante. Non vivevamo nella paura e tra l’altro devo dire che Giovanni ha sempre manifestato un carattere forte. Ecco, quello che lo identifica di più è il suo modo di fare brillante, coraggioso, curioso. Un ragazzo dall’etica molto spiccata, impegnato con cuore e testa in tutto quello che fa. D’altronde aveva già viaggiato molto, andava in giro per il mondo da solo, convivendo con la solitudine molto bene. Per questo, oltre a sperare che torni presto a casa, prego perché questi anni di prigionia non intacchino il suo modo di essere e la sua forza psicologica. Tutti noi lo aspettiamo, non vedo l’ora di rivederlo”.
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19 Gennaio 2015, 16:52