05 Maggio 2018, 15:14
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PALERMO – “Sono stati nove mesi terribili, di dolore e rabbia. Abbiamo sperato ogni giorno che venisse individuato chi ha agito con quella ferocia che è costata la vita a nostro padre, ucciso con una violenza inaudita”. Sono le parole di Michele, il figlio di Giovan Battista Riccobono, 89enne massacrato nella sua abitazione il 25 agosto dello scorso anno e morto dopo venti giorni di agonia. Oggi in manette è finito il suo vicino di casa, Maurizio Talltuto di 54 anni, che abita al piano terra della palazzina di Borgo Nuovo.
“Io e i miei cinque fratelli – prosegue – abbiamo sempre pensato si trattasse di qualcuno che nostro padre conosceva, non avrebbe mai aperto la porta ad un estraneo e i risultati delle indagini dei carabinieri oggi ce lo confermano”. L’uomo avrebbe bussato con una scusa, l’anziano si sarebbe fidato. Poi, una volta colpito, avrebbe cercato di resistere, ma ha avuto la peggio. L’incubo per i familiari è cominciato alcune ore dopo l’assalto nell’abitazione, quando Riccobono ha ripreso conoscenza.
“Sanguinante e sotto choc è riuscito a telefonare a mio fratello – racconta il figlio – e a chiedere aiuto. Una volta arrivati da lui abbiamo trovato la casa completamente a soqquadro, il sangue sul pavimento. Mio padre era debole, ma vigile, nonostante i colpi ricevuti alla testa e le percosse su varie parti del corpo. Una scena straziante, abbiamo subito chiamato i soccorsi”.
Riccobono è quindi stato trasportato all’ospedale Cervello: “Lì i medici ci hanno detto di non illuderci perché la situazione era grave, che nostro padre doveva essere tenuto sotto stretta osservazione per monitorare l’evoluzione delle pesanti ferite riportate. E’ così stato trasferito a Villa Sofia, dove col cuore a pezzi ci siamo recati ogni giorno, sperando nel miracolo”. Nel corso delle 48 ore successive, infatti, le condizioni del pensionato sono precipitate.
“E’ entrato in coma – prosegue il figlio – e ci è crollato il mondo addosso. Un giorno, in ospedale, gli ho scattato una fotografia per sensibilizzare l’opinione pubblica e far capire come una persona potesse essere ridotta in casa propria, nel luogo in cui dovrebbe sentirsi al sicuro, per pochi spiccioli. Dopo venti giorni si è spenta ogni speranza, nostro padre ci ha lasciato”.
E da allora, le indagini per risalire all’autore della rapina violenta sfociata in omicidio, si sono fatte più pressanti. “I carabinieri sono sempre stati al nostro fianco, sin da quella notte in ospedale. Ci hanno dato anche un supporto morale fondamentale, che non ci ha mai fatto perdere la fiducia. Nostro padre potrà adesso avere giustizia, chi lo ha strappato alla vita deve pagare. Noi abbiamo fede e ciò ci ha dato la forza di andare avanti in questi mesi di silenzio”.
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05 Maggio 2018, 15:14