29 Maggio 2015, 18:34
4 min di lettura
PALERMO – Dopo il Tar, anche il Cga bacchetta il governo Crocetta sulla Formazione professionale. I giudici amministrativi hanno dato torto all’assessorato regionale alla Formazione sul decreto che disciplina gli accreditamenti nel mondo dei corsi professionali. Quattro mesi fa, il provvedimento del governo era stato bocciato dal Tar per effetto di un ricorso presentato da una cinquantina di enti: adesso, pronunciandosi sulla sospensiva richiesta dalla Regione, il Cga ha confermato la decisione, che sarà discussa nel merito nelle prossime settimane.
I ricorsi sono diversi. Contro il decreto si erano schierati Asef, Cesia, Logos, Città del sole, Alibi Club, Infaop, Cesam, Forseo, Palladium, Anfop, Mcm, Ciaform, Euroform, C&B, Staff Relation, Des, Asterisco, Isors, Educationl Center, Aproca e Infor Group, difesi da Enzo Puccio e Carlo Comandé, e Anfe, Aeffe, Agronica, Cirpe, Interefop, Cufti, Endofap, Enfap, Enaip, Ecap, Engim, Ial-Cisl, Anapia, Issttreef, Nuovo Cammino, Ares, Eris, Iraps, Cnos/Fap, Associazione culturale studi ibleo, Istituto Europa, Efal, Crunci, Curs, Iripa, difesi da Sebastiano Papandrea e Fulvio Ingaglio La Vecchia. In particolare, ad essere contestato era il passaggio in cui si prevede la revoca dell’accreditamento in caso di presenza di contenziosi tra l’ente e la pubblica amministrazione. Un provvedimento che agli organizzatori dei corsi era apparso contrario persino alle regole del buon senso. Ma il Tar è andato oltre. Bocciando, di fatto, l’intero provvedimento. Quello sulla base del quale sono stati distribuiti e sono stati tolti gli accreditamenti agli enti. E il motivo è quasi grottesco: quel provvedimento, firmato da Nelli Scilabra, doveva invece – stando allo Statuto – essere sottoscritto dal presidente della Regione. Uno scivolone clamoroso.
Il decreto è stato emanato il 23 luglio 2013. Il provvedimento elencava i nuovi requisiti per l’accreditamento, strumento utile per poter partecipare alla distribuzione dei contributi pubblici per lo svolgimento dei corsi di Formazione. In quell’atto, firmato dall’allora assessore Nelli Scilabra, fra le altre cose, si inibiva l’accreditamento a quegli enti che avessero in corso “liti” e contenziosi con l’amministrazione regionale. Ma un primo e più grave vizio di quel decreto, secondo i giudici di primo grado, sta proprio nel “firmatario”. Quelle disposizioni, hanno precisato i giudici, “hanno la caratteristica della novità, introducendo condizioni, caratterizzate altresì dalla generalità ed astrattezza, ulteriori rispetto a quelle fino a quel momento esistenti per l’accreditamento di enti di formazione e per il mantenimento dello medesimo status”. Veri e propri regolamenti, quindi, che, stando allo Statuto siciliano “devono essere deliberati dalla giunta di governo ed adottati nella forma del decreto presidenziale, mentre ai singoli assessori spetta esclusivamente il potere di proporre l’adozione di regolamenti nelle materie di rispettiva competenza. Nel caso di specie – si legge – il decreto oggetto di impugnazione non risulta adottato in conformità al quadro normativo appena richiamato. Conseguentemente lo stesso decreto risulta illegittimo”.
Poi il Tar è entrato nel merito. La “lite pendente”, insomma il contenzioso, secondo il tribunale di primo grado “non è di per sé indice della inaffidabilità dell’impresa, potendosi la lite chiudere a favore della stessa (con riconoscimento delle relative ragioni). Inoltre – si legge nella sentenza – è sintomatico della non necessaria finalizzazione alla selezione qualitativa dei partecipanti, il fatto che la clausola in esame individui come fatti ostativi non solo le liti attuali, ma altresì quelle passate”. Una norma non solo incomprensibile, spiegano i giudici, ma anche inutile. Non porterebbe, infatti, alcun vantaggio all’attività amministrativa: “Una simile previsione – si legge infatti – non ha alcuna proiezione sul terreno dell’efficacia dell’azione amministrativa, ma unicamente una evidente ed univoca finalità di penalizzazione, dal momento che l’esercizio del diritto di difesa (principale interesse antagonista a quello dell’amministrazione), di cui all’articolo 24 della Costituzione, sembra costituire un fatto ostativo rispetto alla stipula di contratti con l’amministrazione intimata, anche in relazione a vicende ormai definite ed a rapporti esauriti”. In quei giorni, Crocetta descrisse quel passaggio quasi come un segno della “moralizzazione” in atto nel mondo della Formazione. Secondo la sentenza di gennaio, però, agli enti non sarebbe stato garantito il diritto di difendersi dalla Regione, visto che la conseguenza sarebbe stata quella dell’immediata estromissione dai finanziamenti pubblici. Un’ingiustizia.
La Regione, però, a quel punto non si è arresa. E ha fatto ricorso, chiedendo al Cga di sospendere l’efficacia della sentenza. Insomma: di lasciare le cose come stavano il giorno dopo il decreto, almeno fino alla pronuncia definitiva. L’ordinanza pronunciata ieri dal Cga (presidente Marco Lipari, consiglieri Antonino Anastasi, Silvia La Guardia e Alessandro Corbino, estensore Giuseppe Mineo) è però estremamente tranchant: “Non si manifesta in punto di fumus alcun profilo di lesione dell’interesse pubblico che possa giustificare la misura richiesta”. Insomma: non c’è fretta, si vedrà con la sentenza definitiva. Intanto, però, quel decreto non esiste. E l’elenco degli scivoloni amministrativi del governo Crocetta sulla formazione si arricchisce di una nuova puntata.
Pubblicato il
29 Maggio 2015, 18:34