Oltre i cento passi, l’ultimo |libro di Giovanni Impastato

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08 Luglio 2017, 11:15

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BELPASSO – Trasmettere ai giovani i valori della cultura antimafia, battendosi contro i lati più ambigui della morale comune e perfino contro se stessi. Giovanni Impastato tale compito lo ha assunto da quasi quarant’anni: almeno dalla notte tra 8 e 9 Maggio 1978, quando il fratello Peppino morì per quello che si disse dapprima suicidio o azione terroristica, poi (a decenni di distanza) omicidio. Il “Centro Impastato” opera dal 1977; nel 2000 il film “I cento passi” ha però contribuito ad una diffusione massiva dell’opera dell’attivista di Cinisi. Negli anni seguenti moltissime sono state le iniziative in ricordo sempre accompagnatesi ad attività documentarie e militanti: non solo in chiave ideologica ma soprattutto culturale.

Oltre i cento passi, l’ultimo libro di Giovanni Impastato, racconta proprio questo complesso di esperienze divulgative: “Dobbiamo superare l’icona del film: c’è un mondo che ci attende!”, ha affermato Impastato. E’ partita dall’associazione “Antimafia e Legalità” di Belpasso, insieme alla Fondazione Bufali, l’idea di ospitare la presentazione dell’opera ed il suo autore, in un contesto dedicato principalmente ai giovanissimi: nutrita è stata infatti la presenza degli alunni della scuola media “Nino Martoglio”.

Un gruppo, coordinato dal prof. Nino Bellia, ha partecipato con alcuni momenti musicali: spiccava il brano I cento passi, scritto nel 2004 dai Modena City Ramblers. Moderatore dell’incontro il giornalista Luciano Mirone, già autore di pagine memorabili su Peppino nel suo Gli insabbiati. Durante la serata si è ripercorso il clima della lotta antimafia negli anni ’60-’80: la presenza di un protagonista di quel periodo ne ha fatto un momento di esperienza realmente trasmessa, senza tentazioni retoriche. “Era un periodo di grande attività”, ha raccontato Impastato: ”Radio Aut si era rivelata un’arma micidiale, con l’ironia della trasmissione Onda Pazza. Peppino era in campagna elettorale con Democrazia Proletaria, erano i giorni del sequestro Moro ”.

Pochi cenni per delineare un’epoca che, tra cronaca nera, partiti e musica, entrava anche in un paesino sperduto della provincia palermitana. Una domanda centrale ha posto Mirone:

“Com’era visto Peppino dai concittadini?” La risposta è nota ai più, ma dalle labbra di un fratello acquista significato più intenso: “Per alcuni era un esaltato, ma nell’ultimo periodo iniziava a riscuotere consensi. Gli stessi mafiosi erano evidentemente preoccupati: finché denunciava collusioni era scomodo, ma il vero problema era quando, via radio, li bersagliava col sarcasmo ”. Ecco, nelle parole del fratello, rivivere l’uomo di cultura, capace di divertirsi con le parole senza limitare il proprio orizzonte agli autori canonici dell’ambiente politico. Ecco il giornalista “abusivo” che a diciassette anni ciclostilava “L’Idea Socialista”, realizzando poi reportage sull’edilizia abusiva e la presenza mafiosa nel proprio paese.

Le immagini, montate su pannelli, venivano portate in giro e illustrate ai passanti, al modo dei vecchi cantastorie ma con un’inclinazione più pericolosa: informare e smuovere acque. “Oggi l’informazione è distorta, lo spettacolo tende a fornire un’immagine alterata della realtà” ha ammonito Impastato, rivolgendosi al giovane pubblico: ” Dovete partire dal basso, conoscere il vostro territorio”. La “ribellione” di Peppino, un altro tema caldo, certamente utile agli adolescenti del 2017: “Perché Peppino si ribellava?” ha ancora domandato Mirone . La risposta, meno facile del previsto, tocca la dimensione familiare e si prolunga nel presente. Giovanni Impastato ha allora tracciato l’immagine di una famiglia mafiosa –la propria- negli anni ’50, e l’infanzia gioiosa di due fratelli che a volte giocavano con un latitante, il boss Luciano Liggio. Di una madre che pure amava il marito criminale, ma non poteva approvarlo ed ha infatti dedicato tutti i suoi anni ad opporsi a questo sistema: Felicia Bartolotta Impastato, che senza isterismo né desideri di vendetta ha indicato Tano Badalamenti come assassino del figlio. Meno chiaro, per il momento, potrebbe risultare a dei ragazzi il concetto di depistaggio: quello per cui Peppino poteva essere suicida o attentatore, quello per cui il padre Luigi sarebbe stato investito da persona “al di sopra di ogni sospetto” e per pura casualità.

Casualità troppo ricorrenti nella storia italiana: ventidue anni sono occorsi prima che fosse ammessa la malafede delle istituzioni di allora. “E’ tutt’ora l’unico caso in cui il Parlamento italiano sia riuscito ad esprimere una verità istituzionale su un caso di questa gravità”, scrive Giovanni Impastato nel suo libro. Che peraltro non è tutto crimini e delitti, manifestando le possibilità ed i successi che questa lunga battaglia culturale ha realizzato negli anni. Le caustiche vignette di Vauro (“La mafia esiste. Resta solo qualche dubbio riguardo all’esistenza dello Stato!”) smorzano la tensione di alcune pagine: in pieno stile “Radio Aut”. E’ risaputo come la satira sia uno dei mezzi più popolari per far vacillare il consenso a realtà altrimenti insostenibili, ma sulla mafia il primo a insegnarlo dev’essere stato proprio Peppino Impastato.

 

 

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08 Luglio 2017, 11:15

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