Cronaca

Omicidio Agostino, sbirri e pentiti Un mistero lungo 31 anni

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02 Luglio 2020, 20:02

7 min di lettura

PALERMO – Più che una svolta nelle indagini, la richiesta di rinvio a giudizio per l’omicidio dell’agente Nino Agostino e della moglie Ida Castelluccio è un viaggio attraverso una palude. Una palude di trame oscure, rapporti border line, spioni e spie. Una palude in cui sguazzavano potenti boss, seminatori di morte e orrore, che andavano a braccetto con i servizi segreti. Una palude dove i pentiti hanno recitato un ruolo da protagonisti.

Giustizia per i parenti

Ecco perché è difficile parlare di svolta verso la verità. Resta la speranza, da difendere con le unghie e con i denti, che sia fatta giustizia. Giustizia per due giovani morti ammazzati, per una ragazza che stava per diventare madre – Ida Castelluccio era incinta – , per chi non ha mai smesso di combattere per la verità come il padre di Agostino, Vincenzo, e la madre Augusta Schiera che è morta senza conoscere i colpevoli.

Tre richieste di rinvio a giudizio

La Procura generale di Palermo, diretta da Roberto Scarpinato, che ha avocato a sé le indagini, ha chiesto il rinvio a giudizio per omicidio di Antonino Madonia e Gaetano Scotto, rispettivamente capo mandamento di Resuttana e boss dell’Arenella, e di Francesco Paolo Rizzuto, amico di Agostino, per favoreggiamento aggravato. Secondo l’accusa, l’omicidio Agostino-Castelluccio, avvenuto il 5 agosto 1989 a Villagrazia di Carini, ebbe una duplice causale.

La prima causale

Agostino dava la caccia ai latitanti, divenendo così uno dei più pericolosi nemici per Totò Riina e per i Madonia, che dei corleonesi erano alleati. I collaboratori di giustizia Giovanni Brusca e Antonino Giuffrè hanno sostenuto che fu per questa ragione che Agostino venne ucciso. Altri due pentiti, Vito Galatolo e Vito Lo Forte, hanno indicano anche una seconda causale. Agostino faceva parte di una squadra speciale del commissariato San Lorenzo. Aveva incarichi delicati, tra cui quello di fare da scorta a un supertestimone interrogato dal giudice Giovanni Falcone, e cioè l’ex estremista di destra Alberto Volo. Volo raccontò a Falcone della pista neofascista per l’omicidio del presidente della Regione Piersanti Mattarella, e ammise di fare parte a una struttura legata ai servizi segreti simile a Gladio.

I colleghi e la caccia ai latitanti

I colleghi di Agostino – Domenico La Monica e Sebastiano Arceri – hanno confermato il ruolo di Agostino nelle indagini sui latitanti. Faceva parte di una squadra che lavorava in segreto. Un sorta di struttura parallela in cui alcuni poliziotti erano impegnati al di là del lavoro di routine e che si interfacciavano con i servizi di intelligenza. Stessa cosa ha detto un altro poliziotto, Guido Paolilli, in passato anche lui indagato per favoreggiamento, ma poi la sua posizione è stata archiviata per prescrizione, il quale ha raccontato che Agostino aveva individuato un suo parente acquisito come soggetto vicino alla mafia. E gli confidò che aveva “paura di essere sparato”.

Il parente era Santo Sottile di San Giuseppe Jato, marito della zia della moglie di Agostino. Sottile era legato a Giovanni Brusca, allora reggente di San Giuseppe Jato, che agli investigatori ha detto: “Riina, che era tranquillissimo, mi disse che della cosa si erano occupati Nino e Salvo Madonia”. Aggiunse di essersi accorto di essere pedinato da una persona a bordo di una vespa, da lui riconosciuta in Agostino. La Procura generale lega l’omicidio Agostino ad altri delitti: Giacomo Palazzolo (maggio 1989), Gaetano Genova (marzo 1990), ed Emanuele Piazza (marzo 1990), tutti impegnati nella ricerca dei latitanti.

Agostino si dava un gran fare nel territorio dei Madonia, a Resuttana. Delle sue “perlustrazioni” assieme a Piazza in vicolo Pipitone, quartiere generale dei Madonia, ha riferito Vito Galatolo (“dove c’è Madonia passa la morte. Nino su futtiu ad Agostino”). La sorella di Vito, Giovanna, pure lei collaboratrice di giustizia, disse di avere sentito parlare di un “pagamento” ricevuto da Agostino. E così si era convinta che facesse l’agente facesse il doppio gioco: faceva finta di portare notizie ai Galatolo-Madonia ed invece le attingeva per stanare i mafiosi.

La seconda causale

Agostino sarebbe stato ucciso perché era venuto a conoscenza dei legami tra la mafia ed esponenti della polizia e dei servizi segreti. La procura generale ha raccolto le dichiarazioni in tal senso dei collaboratori di giustizia Oreste Pagano, Vito Galatolo, Vito Lo Forte, Giovanna Galatolo, Giuseppe Marchese, Francesco Di Carlo, Antonino Lo Giudice.

Magistrati e investigatori della Dia ritengono di avere raccolto le prove che Agostino avesse confidato al collega La Monica di fare parte dei servizi segreti e di essere in relazione con Alberto Volo, di cui avrebbe garantito la sicurezza negli anni in cui Falcone seguiva la pista nera per l’omicidio Mattarella. L’ex presidente della regione, fratello dell’attuale capo dello Stato, sarebbe stato ucciso nell’ambito di una strategia della tensione per evitare che la sinistra entrasse al governo.

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Agostino sarebbe venuto a conoscenza dei rapporti fra Nino Madonia con settori deviati dei servizi segreti, ad un certo unto delegati a Scotto, e dei contatti con poliziotti infedeli. “Il poliziotto era stato ucciso perché voleva rivelare legami della mafia con alcuni componenti della Questura di Palermo”, ha detto Pagano

L’amico di Agostino

Quando fu assassinato Agostino aveva 28 anni, appena 16 il suo amico Francesco Paolo Rizzuto, che oggi ha 47 anni e rischia il processo per favoreggiamento. Avrebbe eluso le investigazioni, tacendo elementi a sua conoscenza e riferendo circostanze false in relazione al delitto”. In Rizzuto particolare disse nell’immediatezza dell’omicidio che aveva sentito i colpi di pistola, era corso sul posto ed era scappato per paura. Abitava accanto al luogo del delitto.

Nel 2018 aveva ribadito la versione solo che, intercettato due giorni prima della convocazione, diceva: “…tanno la magliettina mia tutta china china i sangue… capisti?”. “… va bè ma tu ci dasti aiuto”, aggiungeva l’interlocutore mai identificato di Rizzuto. Che aggiungeva: “Io ci dissi ca io un c’era…”. Era dunque presente tanto da essersi sporcato di sangue. La circostanza viene ritenuta dalla procura generale “un formidabile riscontro” alle dichiarazioni rese già nel 1989 dal pentito Francesco Marino Mannoia, il quale aveva riferito, per averlo appreso dalla moglie Rosa Vernerngo, (a cui a sua volta lo aveva confidato il padre di Francesco Paolo Rizzuto, Cosimo) che “all’omicidio avrebbe assistito il più grande dei figli di Cosimo Rizzuto a nome Paolo”.

Brusca

E poi come in tutte le storie di mafia ci sono i pentiti che spesso sono decisivi nelle indagini, ma a volte finiscono per complicare le cose. Nei confronti di alcuni di loro non è stato tenero il giudice per le indagini preliminari Marco Gaeta, quando nei mesi scorsi ha respinto la richiesta di arresto avanzata dalla procura generale nei confronti di Scotto e Madonia. Nel 1998 Brusca aveva dichiarato di avere saputo da Riina che dell’omicidio Agostino si erano occupati Antonino e Salvatore Madonia. Solo che nel 2000 sempre lui aggiunse: “Lui (Riina) non mi ha detto, già sono sicuro che erano stati loro, ma con la sua espressione è come se lui me lo avesse confermato, cioè non mi ha detto è sicuro al cento per cento che sono stati loro”. Le certezze erano svanite.

Lo Forte

Oppure Lo Forte che 2009 disse di aver appreso, nel dicembre del 1989, da Pietro Scotto che l’omicidio Agostino era stato commesso da suo fratello Gaetano Scotto, il quale si era vantato di essere diventato “importante” all’interno di Cosa Nostra’, e da Nino Madonia. Solo nei successivi interrogatori (resi a Catania, Reggio Calabria e Caltanissetta), aggiunse il nome di Giovanni Aiello (l’ex agente soprannominato “faccia da mostro”, ormai deceduto), accusandolo di avere prelevato in macchina i due esecutori materiali dopo l’omcidio. E spiegò di avere parlato del delitto con Gaetano Vegna e non con Pietro Scotto. Si era confuso.

Galatolo

Vito Galatolo ha detto di avere saputo dal cugino Stefano Fontana, nel 2003, che Nino Madonia era il responsabile. Ed ancora: “Quello che mio cugino Stefano mi ha fatto capire che sull’omicidio di questo Agostino c’era
Gaetano Scotto”. Ida Castelluccio “era stata uccisa perché l’aveva riconosciuto e perché sapeva che il marito era dedito alla caccia di latitanti”. Tra i particolari aggiunti disse che in vicolo Pipitone, “erano soliti recarsi sia Giovanni Aiello, sia Bruno Contrada, i quali erano stati da lui visti parlare sia con i Calatolo che con i Madonia”.

Il giudice Gaeta ha però fatto presente che “a questa versione, senza dubbio particolareggiata, Calatolo è però arrivato progressivamente e
con non poca fatica”. All’inizio, però, disse di non conoscere Aiello e di
non sapere nulla in merito all’omicidio Agostino. Per tutti questi motivi il giudice negò l’arresto. La procura generale, però, crede nel lavoro che ha fatto ed è andata avanti. Oggi chiede il processo per i tre indagati.

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02 Luglio 2020, 20:02

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