Dainotti e la mutua di Cosa nostra| “Neanche posso fare la spesa”

di

26 Maggio 2017, 05:31

2 min di lettura

PALERMO – Giuseppe Dainotti, il boss di Porta Nuova assassinato nei giorni scorsi, pretendeva rispetto e soldi. Quei soldi che stentavano ad arrivare ai suoi familiari nei lunghi anni di detenzione. La mutua di Cosa nostra, che prevede il sostegno economico per i parenti dei carcerati, nel caso di Dainotti a volte si era inceppata.

Già nel 2010 si manifestarono delle tensioni. Dopo l’arresto di Gregorio Di Giovanni, reggente del mandamento di Porta Nuova, al fratello Tommaso (entrambi sono inseriti nell’elenco degli scarcerati eccellenti di Cosa nostra di cui faceva parte anche Dainotti) toccò sobbarcarsi il peso delle esigenze dei detenuti. Nel luglio 2010 il telefono di Tommaso Di Giovanni squillò. All’altro capo della cornetta c’era la zia Francesca Paola Dainotti, sorella dell’uomo assassinato in via D’Ossuna, nonché madre di Tommaso Lo Presti, altro pezzo grosso della mafia di Porta Nuova (lui è detenuto): “… allora io oggi neanche posso fare la spesa …a zia” . “Più tardi vengo…”, rispondeva Di Giovanni.

Nell’ottobre successivo a protestare era un’altra nipote di Dainotti, Anna Lo Presti, sorella di Tommaso. Al marito, Salvatore Pispicia, diceva: “… portò 400 euro per la settimanata di queste quattrocento euro… cento euro gliel’ho dati a mia madre per fargli la spesa, duecento euro l’ho portati al dentista che non gli portava soldi da qualche tre mesi al dentista, quanto restano… mi sono rimasti gli spicci”.

Articoli Correlati

L’uomo incaricato di “portare” i soldi sarebbe stato Vincenzo Coniglio che fino al suo arresto era un insospettabile parrucchiere di corso Calatafimi. Le indagini dei carabinieri avrebbero poi svelato il suo ruolo di gestore finanziario dei soldi del clan. Coniglio è stato condannato in appello a dodici anni di carcere. Il parrucchiere lavorava al fianco di Di Giovanni e lo relazionava su tutto.

Perché è stato ucciso Giuseppe Dainotti, freddato con quattro colpi di pistola, di cui uno alla testa? Anche Giovanni Di Giacomo, killer ergastolano, lo voleva morto. Aveva chiesto al fratello Giuseppe di sbarazzarsi di lui. Solo che fu Giuseppe Di Giacomo a cadere sotto i colpi dei killer. Forse aveva cercato di alzare la voce, di riprendersi una fetta di potere che nessuno, però, gli riconosceva. Forse aveva preteso di rientrare nei giri con cui si fanno i soldi. Forse si era convinto che avesse maturato un titolo di credito in virtù degli anni trascorsi in cella. Tanti “forse” che sono il segno della problematicità del lavoro degli investigatori della Squadra mobile e del Nucleo investigativo dei carabinieri.

 

Pubblicato il

26 Maggio 2017, 05:31

Condividi sui social