18 Marzo 2015, 18:22
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CATANIA – Un omicidio che forse poteva essere evitato. Un dubbio che sta lacerando l’animo di un figlio che ha perso la madre per colpa di una mano assassina. Vincenzo Occhiato vuole poter scolpire ‘verità e giustizia’ sulla lapide di Letizia Consoli, uccisa in un bungalow della playa di Catania lo scorso 7 febbraio. Sette giorni dopo il suo presunto assassino ha confessato davanti agli inquirenti di Catania che in pochi giorni lo hanno identificato e ammanettato. Il marocchino Zakaria Ismaini era già ricercato dai carabinieri di Brindisi per un altro delitto. I due fermi sono stati eseguiti lo stesso giorno. Ismaini è accusato dell’omicidio di Cosimo Mastrogiovanni, ucciso il 13 novembre del 2014 a Latiano in provincia di Brindisi. E da qualche settimana il marocchino che è rinchiuso nel carcere di Siracusa è il sospettato numero 1 di un altro omicidio, quello di Anna Maria “Luna” Stellato, trovata morta il 15 luglio del 2012 nel mare di Rimini.
“Quella bestia doveva essere fermata prima” – è il grido di dolore di un orfano che in questi giorni sta concentrando tutto il suo impegno nello studio per superare l’esame e diventare ufficiale di Marina Mercantile. “Perché non è stato arrestato prima?” – si chiede il 28enne, padre di una bimba di cinque anni. Interrogativi che serpeggiano nella mente di Vincenzo che si è affidato a due legali che lo stanno assistendo come parte offesa del procedimento. “Noi vogliamo capire se c’è stata un’inerzia investigativa da parte degli inquirenti di Brindisi” – affermano congiuntamente gli avvocati Giovanni Avila e Gianfranco Todaro. “Perché il fermo è arrivato dopo tre mesi?”- questa la domanda a cui potranno dare una risposta quando in fase processuale potranno avere accesso agli atti d’indagine. Oggi intanto i due difensori “stanno monitorando” con tutti gli strumenti legali “le due indagini”. “Alla Squadra Mobile di Catania – aggiungono gli avvocati Avila e Todaro – vogliamo a nome del nostro assistito manifestare gratitudine e riconoscenza per le doti tecniche e investigative ma anche per il supporto umano”.
“Gli agenti della Squadra Mobile mi sono stati vicini” – racconta Vincenzo Occhiato ricordando quei giorni terribili: da quando la polizia è andato a prenderlo a casa e lo ha accompagnato all’obitorio fino alla notizia dell’arresto del marocchino. Giorni in cui non ha potuto confidare a nessuno che quel cadavere trovato in mare era quello di sua madre. Ha dovuto ingoiare il suo dolore e restare in silenzio. “Mi hanno chiesto di mantenere il segreto per qualche giorno”- spiega Vincenzo. Una richiesta avvenuta dopo il riconoscimento all’obitorio del Garibaldi. Un segreto da custodire per ottenere giustizia al più presto. “Mi avevano promesso che lo avrebbero preso e così è stato”. Il marocchino era infatti intercettato e quando i poliziotti hanno capito che aveva intenzione di lasciare l’Italia sono intervenuti e lo hanno ammanettato. Era a bordo di una barca. “E se fosse riuscito a scappare? – si domanda il giovane – Quante altre famiglie avrebbe distrutto?”.
Mamma Letizia era una donna “solare, che amava la vita e che adorava il mare”. Andava spesso a casa di Vincenzo e della moglie per “stare con la nipotina”. Da qualche anno si prendeva cura della nonna del 28enne che aveva avuto gravi problemi di salute. “Mio padre è morto quando ero piccolo – racconta – e sono cresciuto con lei. Tutto quello che so me lo ha insegnato lei”.
“Nessuno mi potrà restituire mia madre ma io voglio giustizia – dice con forza. Questa persona deve avere il massimo della pena e se poi si scoprirà che c’è la responsabilità di qualcuno, deve pagare anche questo”. Vincenzo pretende che “quanto accaduto non si ripeta”. E allora chiede alle istituzioni maggiori controlli anche sul fronte delle immigrazioni. “Non c’è più sicurezza. Io non sono razzista – chiarisce – ma servono degli interventi”. Non si sente tutelato il giovane aspirante ufficiale: “Io sono padre, se le cose non cambiano vado via, non voglio fare crescere mia figlia in Italia”.
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18 Marzo 2015, 18:22