Cronaca

Omicidio, 57 coltellate: “Non c’era altra strada che farla finita”

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23 Settembre 2021, 06:14

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PALERMO – Le attenuanti generiche sono state riconosciute come prevalenti rispetto alle aggravanti. Per questo la Corte di appello ha diminuito la pena inflitta agli imputati, da 14 anni ciascuno di carcere a 9 anni. Erano difesi dagli avvocati Giovanni Castronovo e Simona La Verde.

Salvatrice Spataro e i figli Mario e Vittorio Ferrera hanno ucciso il padre Pietro Ferrera con 57 coltellate nel 2018 in un appartamento di via Falsomiele a Palermo.

Non fu legittima difesa

Non fu legittima difesa, volevano ucciderlo e lo dimostra il numero dei colpi inferti. E neppure, secondo la Corte di Appello che ha depositato le motivazioni della sentenza, fu il rifiuto della donna ad avere un rapporto sessuale a scatenare la reazione del marito e poi l’omicidio. Gli imputati hanno cambiato la versione dei fatti, forse concordandola, per difendersi dall’accusa pesantissima. Nonostante tutto ciò bisogna tenere conto, dice il collegio presieduto da Angelo Pellino (Michele Calvisi consigliere), del vissuto familiare di soprusi che moglie e figli subivano da anni.

“Clima di terrore”

“Il doloroso vissuto personale familiare dell’imputata, “il clima di terrore instaurato” da Ferrera, “uomo preda a ossessioni che avrebbe meritato, come pure si tentò di fare, uno specifico supporto psichiatrico” e “il grumo di cocenti umiliazioni patite non solo ebbero un incidenza decisiva nel determinismo causale degli eventi, predisponendo Spataro alla risoluzione criminosa poi attuata di impulso, ma nel tempo avevano logorato e svuotato del suo naturale contenuto di reciproco trasporto, dedizione e solidarietà il sentimento e l’amore coniugale”.

I figli hanno tentato di sostenere che erano sì anche loro armati di coltello, ma nessun colpo mortale fu da loro inferto. Le perizie non lo escludono ma, secondo il collegio, non è questo il punto “perché rimarrebbe comunque innegabile è più che concreto e apprezzabile l’apporto che ciascuno dei due ha prestato alla realizzazione del reato sotto il profilo della incidenza nella causazione dell’evento”.

“Una gragnuola simultanea di coltellate

Lo dimostra “il bombardamento incrociato: una gragnuola simultanea di coltellate provenienti da più parti certamente idonea non solo ad ostacolare ma a stroncare qualsiasi possibilità per la vittima di apprestare una difesa efficace di sottrarsi alle coltellate”. I fratelli sapevano perfettamente cosa stavano facendo.

In realtà era già ben chiaro nella loro mente che l’omicidio del padre potesse essere uno de epiloghi possibili: “Da diversi giorni per l’acuirsi delle tensioni in famiglia avevano messo in conto la possibilità di un epilogo cruento e tragico della loro vicenda familiare. Nella loro chat fino a due giorni prima si scambiavano amari commenti e fosche previsioni sui possibili sviluppi della situazione, preparandosi al peggio. Fino a rassegnarsi all’idea che non vi fosse altra alternativa per loro che la morte, cioè essere uccisi dal padre, o il carcere cioè riuscire loro uccidere lui“.

Quando si precipitarono nella camera da letto il padre era già ferito, ma in loro scattò l’inevitabile convincimento che “il padre orco non avrebbe perdonato né la madre per averlo aggredito tentando di ucciderlo, ne i due figli intervenuti in soccorso di lei e se non quella sera in un’altra occasione, recuperate le forze e energie mentali, non avrebbe esitato a mettere in atto le terribili minacce che anche di recente aveva rinnovato”.

“Equità della pena e rieducazione”

I fratelli avevano messo nel conto che “non c’era altra strada che farla finita una volta per tutte“. Il quadro è drammatico ma, secondo il collegio, bisogna tenere ben saldi i concetti di “equità della pena” e della “sua finalità rieducativa”, specie nei riguardi due giovani “che una drammatica condizione familiare ha costretto a divenire adulti anzitempo, innestando nella loro crescita fin dall’adolescenza traumi indicibili”.

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23 Settembre 2021, 06:14

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