26 Ottobre 2017, 16:17
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PALERMO – Marzia Fragalà è costretta a fermare la sua deposizione. Si commuove quando parla del padre, l’avvocato Enzo Fragalà, barbaramente assassinato nel 2010. Marzia, pure lei avvocato, riferisce in aula, da testimone, le parole di un cliente del padre subito dopo l’omicidio. Andò a trovare in carcere “un assistito di papà, Onofrio Prestigiacomo. Si miste a piangere e mi disse che a mio padre lo chiamavano “l’avvocato sbirro“.
Secondo l’accusa, quella voce dal carcere confermerebbe il movente del delitto. Doveva essere una punizione. Tra i mafiosi, liberi e detenuti, covava il malcontento per l’avvocato sbirro. Sbirro perché i clienti di Enzo Fragalà facevano ammissioni nei processi e rendevano interrogatori che mettevano nei guai i boss. Sbirro perché il penalista non aveva esitato, per difendere al meglio un suo assistito, a rendere pubblica la corrispondenza della moglie di un padrino della vecchia mafia. E così il clan mafioso di Porta Nuova avrebbe deciso organizzare una punizione a colpi di bastone, che diventò un massacro sotto lo studio legale di via Nicolò Turrisi.
A Prestigiacomo veniva consigliato di cambiare avvocato per evitare che Fragalà lo spingesse a parlare. Dopo la condanna, è diventato un collaboratore di giustizia.
Sotto processo ci sono Francesco Arcuri e Antonino Siragusa, Salvatore Ingrassia, Antonino Abbate, Paolo Cocco e Francesco Castronovo. Alcuni sono mafiosi di Porta Nuova, altri non hanno ancora sentenze definitive alle spalle.
Davanti alla Corte d’assise presieduta da Sergio Gulotta, Marzia Fragalà risponde alle domande dei pm Caterina Malagoli e Francesca Mazzocco. Racconta momenti di vita familiare. Si commuove nuovo quando ricorda che il padre era presente al suo esame da avvocato, ma assente al giuramento. Era stato già ammazzato. Con il consenso delle parti, in segno di rispetto nei confronti di Marzia Fragalà, si è deciso di acquisire i suoi precedenti verbali.
Poi, è la volta della testimonianza di una collega di studio del penalista, l’avvocato Loredana Lo Cascio. È lei a ricordare che nel periodo dell’omicidio Fragalà era impegnato nella difesa di Vincenzo Marchese e Salvatore Fiumefreddo, sotto processo con l’accusa di avere fatto da prestanome al capomafia di Pagliarelli, Nino Rotolo. Durante il dibattimento, in cui era imputato lo stesso Rotolo, i due indagati avevano fatto delle confessioni. Fragalà aveva prodotto in udienza la lettera con cui la moglie di Rotolo si scusava con Marchese per i guai giudiziari che gli aveva provocato il marito. Fragalà lesse alcuni passaggi della lettera in aula. Da qui la decisione dei clan mafioso di punirlo.
Dalle domande dei difensori si intuisce, invece, la strategia di fare emergere i presunti contasti tra il penalista e altri clienti. Una strategia per sostenere che non ci sarebbe alcuna certezza sul movente del delitto e sul collegamento con la vicenda Marchese.
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26 Ottobre 2017, 16:17