15 Ottobre 2013, 06:00
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CATANIA – Una piccola vittoria della Procura di Catania nell’inchiesta sull’omicidio di Gino Ilardo, nel fascicolo che riguarda mandanti e gruppo di fuoco dell’infiltrato “Oriente” ucciso nel 1996 per ordine, secondo i sostituti procuratori Pasquale Pacifico e Agata Santonocito, direttamente del cugino e capo della famiglia di Caltanissetta Giuseppe “Piddu” Madonia. A giugno il Gip Marina Rizza aveva accolto le richieste di misura cautelare in carcere nei confronti solo di 3 persone, il boss Madonia, Maurizio Zuccaro e Orazio Benedetto Cocimano, rigettando invece quella nei confronti di Enzo Santapaola, figlio di Salvatore, fotografato dall’accusa come la “cerniera” dal carcere all’esterno. Valutazione diversa ha dato invece il Riesame che ha dato pieno accoglimento all’appello della Procura. Ora la decisione definitiva spetta alla Cassazione.
L’APPELLO – Sulla posizione di Vincenzo Santapaola, 57 anni, i Pm Agata Santonocito e Pasquale Pacifico hanno presentato appello al Tribunale del Riesame. Nel provvedimento firmato dal presidente Maria Grazia Vagliasindi (in composizione collegiali con Simona Ragazzi e Aurora Agata Russo) in 28 pagine si riassumono punto per punto le ragioni secondo cui le prove a carico di Enzo Santapaola sono sufficienti per accogliere l’appello dei Pm avverso all’ordinanza del Giudice per le Indagini Preliminari. Una valutazione, dunque, che si discosta completamente da quella del Gip che aveva ritenuto prive di riscontro le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Natale Di Raimondo e Santo La Causa nella parte riguardante il coinvolgimento di Enzo Santapaola nella pianificazione del delitto di Luigi Ilardo. Accogliendo l’appello della Procura Il Tribunale ha disposto la misura cautelare in carcere per l’indagato che però diventerà esecutiva solo quando la decisione diventerà definitiva e, cioè, supererà i tre gradi di giudizio.
IL COLLABORATORE DI RAIMONDO – Per il Tribunale dalla lettura dei verbali degli interrogatori si evince che “Di Raimondo – si legge nell’ordinanza – rende una consistente e puntuale testimonianza degli avvenimenti che hanno preceduto e seguito l’omicidio di Luigi Ilardo e nel corso dei quali ha personalmente appreso chi aveva partecipato al delitto e con quale ruolo. Riferisce, senza mai entrare in confusione o cadere in contraddizione, di aver appreso direttamente da Vincenzo Santapaola, figlio di Salvatore, prima del delitto, che sarebbe stato quest’ultimo ad occuparsene. “Se la sarebbe sbrigata lui – ha dichiarato ai pm – dando le opportune disposizione all’esterno”. Sarebbe stato lo stesso Vincenzo Santapaola a raccontare a Natale Di Raimondo nel corso di un’udienza del processo Orsa Maggiore, nell’aprile del 1996 (poco prima del delitto avvenuto il 10 maggio 1996) che sarebbe stato lui ad occuparsi dell’omicidio. Ed inoltre, sottolinea il Tribunale del Riesame, è lo stesso Santapaola a rivelare al collaboratore, dopo la morte di Ilardo, che era stato Maurizio Zuccaro ad aver organizzato il piano criminale. “Dopo l’omicidio di Ilardo – racconta il collaboratore – e la trasferta che si era fatta a Roma, nel maggio del 1996, per sentire alcuni collaboratori di giustizia, al carcere di Bicocca appresi da Vincenzo Santapaola, figlio di Salvatore, che egli stesso aveva organizzato l’omicidio di Ilardo e che se ne era direttamente occupato suo cognato Maurizio Zuccaro con i “ragazzi” che gli erano vicini”. Sulla scorta di questi elementi in conclusione il Collegio presieduto da Maria Grazia Vagliasindi “ritiene Di Raimondo pienamente attendibile quando indica Vincenzo Santapaola uno dei mandanti dell’omicidio Ilardo”.
LE PAROLE DI SANTO LA CAUSA – L’ex reggente del Clan Santapaola, da poco diventato collaboratore di giustizia, anche in questa inchiesta è stato “centrale” soprattutto per chiudere il cerchio di un’indagine riaperta grazie alle parole di Eugenio Sturiale, testimone oculare del delitto di Gino Ilardo. Santo La Causa fa convergere i tasselli di un puzzle e fornisce anche l’elemento di riscontro alle dichiarazioni di Natale Di Raimondo che aveva indicato Vincenzo Santapaola come uno dei mandanti del delitto dell’esponente della famiglia di Caltanissetta. A Santo La Causa arriva un messaggio (un’ambasciata la chiama il collaboratore) dove era contenuto l’ordine di fare “fuori” Gino Ilardo, si confronta immediatamente con Maurizio Zuccaro che però già sapeva tutto: Vincenzo Santapaola, il cognato, lo aveva incaricato di organizzare il delitto. “Le notizie – si legge nei verbali di La Causa – arrivavano da tutti, da Enzo Santapaola, figlio di Salvatore.. […]”ecco perché quando arriva il biglietto io ne parlo, ma tanto lui già sapeva questa situazione, già glielo aveva mandato a dire a Maurizio Zuccaro, suo cognato“. Per il Tribunale, accogliendo la posizione presentata dai Pm nell’appello, le dichiarazioni dell’ex reggente di Cosa Nostra catanese “chiudono il quadro in cui si colloca l’omicidio di Luigi Ilardo e consentono di apprezzare il contributo concretamente offerto e non semplicemente millantato, da Vincenzo Santapaola, figlio di Salvatore”.
LA DIFESA – Enzo Santapaola è assistito dall’avvocato Stella Rao. Il difensore ancora non ha letto le motivazioni del Tribunale, che ha accolto il ricorso della Procura avverso all’ordinanza del Gip. Il legale di Santapaola attende di poter avere in mano il provvedimento per avere gli elementi e presentatare il ricorso alla Corte di Cassazione.
IL FASCICOLO SUI MANDANTI OCCULTI – Prosegue intanto l’inchiesta per identificare chi avvertì Cosa Nostra che il confidente del Colonello dei Ros Michele Riccio avesse deciso di collaborare con la giustizia. Nel fascicolo affidato ai Pm Pasquale Pacifico e Rocco Liguori, sotto il coordinamento del procuratore Giovanni Salvi, si inseriscono nuovi elementi: un’indagine difficile che cerca di scavare nella zona d’ombra tra istituzioni e mafia. Uno “spiffero” così lo definisce Brusca che portò a quello che il Gip Marina Rizza descrive nell’ordinanza “un’accelerazione” sull’esecuzione del delitto della fonte Oriente. Un omicidio ideato e pianificato all’interno della criminalità organizzata, ma che potrebbe avere radici anche in quel torbido mondo “grigio” che forse lega (o ha legato) servizi deviati, Stato e forze mafiose. Questa estate al Palazzo di Giustizia di Catania è arrivato il Colonello Michele Riccio; lui è solo uno dei tanti ufficiali della Dia di Catania e del Ros che all’epoca del delitto erano in servizio e che sono stati ascoltati dalla Dda di Catania. Ricostruire quanto accadde dal giorno dell’incontro a Roma, il 2 maggio 1996, dove Ilardo parlò alla presenza di Riccio con i Pm Giovanni Tinebra, Giancarlo Caselli e Teresa Principato per manifestare la sua volontà a collaborare , fino al 10 maggio 1996, quando sotto casa fu crivellato di pallottole, rappresenta la chiave di volta per scoprire se dietro a questo delitto si nasconde una mano “nera” che ha avuto la forza di indirizzare le scelte del ghota della Mafia siciliana. Qualcuno che ha voluto cucire per sempre la bocca di Gino Ilardo.
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15 Ottobre 2013, 06:00