Omicidio Ilardo, fughe di notizie| e ombre dietro il delitto

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13 Marzo 2015, 18:22

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CATANIA – E’ il giorno del colonnello Michele Riccio. Un’udienza chiave per il processo sull’omicidio dell’infiltrato Luigi Ilardo. La fonte “Oriente” gestita proprio dal militare dal 1994 al 10 maggio 1996, data dell’assassinio in via Quintino Sella. Cinque ore di interrogatorio da parte del pm Pasquale Pacifico per focalizzare due anni di “collaborazione” che portarono a brillanti risultati investigativi con la cattura di latitanti del calibro di Vincenzo Aiello, boss di Cosa nostra catanese, Domenico Vaccaro, reggente della famiglia nissena, Lucio Tusa, di Caltanissetta e Salvatore Fragapane, uomo di vertice della criminalità organizzata agrigentina. E soprattutto permette alla Dia di conoscere il nome di uno dei componenti del triunvirato che all’epoca teneva le redini di Cosa Nostra catanese e cioè Aurelio Quattroluni. Brillanti risultati che all’improvviso si arrestano – come racconta Riccio in aula – quando dalla Dia ritorna in servizio al Ros, sotto il comando del generale Mario Mori. E’ l’estate del 1995: pochi mesi dopo, precisamente a fine ottobre, ci sarà l’incontro a Mezzojuso con Bernardo Provenzano. Una vicenda quella della mancata cattura di Binnu al centro di un processo (ora in appello) a Palermo terminato in primo grado con l’assoluzione di Mori e dell’ufficiale del Ros Mauro Obino.

Facciamo un passo indietro. I rapporti tra il colonello Riccio, all’epoca in servizio alla Dia, e Gino Ilardo partono dal carcere di Lecce dove il cugino di Giuseppe Piddu Madonia era detenuto. Il Capo della Dia De Gennaro informa Riccio della possibilità che un uomo d’onore di Cosa Nostra possa iniziare un rapporto di collaborazione. E così sarà: Gino Ilardo prende il nome in codice “Oriente” (chiaro riferimento alla Massoneria) , mentre il colonnello da quel momento in poi diventa “Bruno, un operatore finanziario del Nord”. Il rapporto fiduciario viene gestito direttamente da Michele Riccio che periodicamente manda relazioni di servizio alla Dia di Roma e al Procuratore di Palermo, Caselli. Quando De Gennaro viene trasferito la situazione per Riccio diventa difficile. “Avverto De Gennaro che ho delle difficoltà ma lui mi dice di resistere” – racconta Riccio. E in quel momento che il colonnello ritorna ai Ros. Questo non cambia le abitudini investigative del militare che continua a relazionare all’autorità giudiziaria di Palermo quanto la fonte Oriente racconta. Relazioni che vengono inviate a Mori.

A fine ottobre 1995 (è un sabato sera) Riccio riceve una telefonata. “Fra due giorni mi devo incontrare con Provenzano al bivio di Mezzojuso”. Era finalmente arrivata la notizia sperata, l’obiettivo “per cui si era lavorato per anni quello di arrivare al covo di Binnu”. Il colonnello Riccio riferisce tutto al Generale Mori. “Quello che mi ha lasciato perplesso è stata la reazione di Mori” – commenta il teste. Un mancato entusiasmo che lascia dubbioso il colonnello. Mori da disposizione precise. La cattura non sarebbe stata quel giorno, l’incontro serve per mettere le basi all’arresto. Riccio va in Sicilia per preparare il momento di osservazione e incontra il Capitano Damiano di Caltanissetta. Al bivio di Mezzojuso Gino Ilardo viene prelevato e – come racconta in seguito al colonnello Riccio – incontra Bernardo Provenzano in un casolare poco distante. Due incontri. Uno la mattina per fatti inerenti gli affari dell’associazione criminale e uno il pomeriggio di natura più personale. Ilardo fornisce una descrizione dettagliata del latitante (un uomo che si poteva confondere con qualsiasi altro fattore della zona) e fornisce anche una mappa per raggiungere il covo. Riccio fa tre sopralluoghi seguendo le indicazione dell’infiltrato (uno addirittura – racconta – con Ilardo in macchina incappucciato) e riesce ogni volta a localizzare il casolare. Mori però riferisce a Riccio che non riesce a localizzare il covo. “Vedevo delle inefficienze” – commenta ancora il teste. E lo stesso Ilardo chiede lumi al militare che un giorno si sente domandare: “Ma lei si fida dei suoi vertici?”.

In quel periodo accadono fatti inquietanti. A Catania e Caltanissetta arrivano delle lettere anonime che avvertono i magistrati che “Ilardo, mafioso di Caltanissetta, con arroganza e determinazione aveva preso le redini degli interessi di Cosa nostra di Caltanissetta”. Lettere che arrivano addirittura nelle mani della fonte Oriente.

Ad aprile del 1996 Gino Ilardo si trova a Genova per le sue situazioni giudiziarie e incontrandosi con Riccio inizia a manifestare la sua intenzione di collaborare con la magistratura. Un’intenzione che il colonello riferisce al suo superiore. Mori da delle precise indicazioni a Riccio e cioè – racconta il teste – di indirizzare Gino Ilardo a collaborare con la procura di Caltanissetta, a quell’epoca guidata da Giovanni Tinebra. Un invito che formula in due diversi incontri lo stesso magistrato. Riccio ammette di non aver fatto fino in fondo quanto gli era stato ordinato. Ilardo è diretto con il colonnello del Ros: “Io le mie scelte le faccio da solo e io voglio che sia presente anche la procura di Palermo”.

Si arriva così al 2 maggio del 1996. L’incontro a Roma dove Gino Ilardo manifesta formalmente la sua intenzione di diventare collaboratore di giustizia. Prima di incontrare i magistrati, Riccio racconta che mentre si trova in una stanzetta del Ros vede passare Mori. “Era l’occasione giusta per presentare Oriente al generale”. Ilardo dice qualcosa a Mori che resta impresso nella memoria del colonnello. “Guardi che molti attentati che sono attribuiti a Cosa Nostra sono stati ordinati dallo Stato”. Secondo il racconto del teste il generale del Ros stringe i pugni e lascia la stanza.

E’ la frase che secondo Riccio fa comprendere che tipo di contributi poteva dare Gino Ilardo. Informazioni su quella zona d’ombra dove si mescola crimine, massoneria, servizi segreti e istituzioni definita “contesti deviati”. Area da dove proveniva l’ordine – secondo Oriente – di molti delitti e attentati: l’omicidio del presidente Mattarella e l’attentato dell’Addaura per fare alcuni esempi. E ci sono molti input che fanno capire a Riccio che Oriente conoscesse molto bene quel mondo oscuro che univa istituzioni e crimine organizzato.

Torniamo all’incontro con i procuratori di Caltanissetta e Palermo, Giovanni Tinebra e Giancarlo Caselli e il sostituto della procura palermitana, Teresa Principato. Riccio racconta un particolare. Dall’altra parte del tavolo erano seduti Caselli, Tinebra e Principato, Tinebra era al centro e la sedia dove avrebbe dovuto sedersi Ilardo era proprio di fronte al Procuratore di Caltanissetta. Ilardo prende la sedia e la sposta in modo da trovarsi di fronte a Caselli. Un modo, secondo Riccio, per far capire con chi volesse collaborare. L’incontro dura oltre due ore e mezza. “Ilardo è un fiume in piena – spiega il colonnello – racconta dell’incontro a Mezzojuso con Provenzano e fornisce dettagli della sua affiliazione a Cosa Nostra”. Ilardo era il vice rappresentante della famiglia di Caltanissetta, il reggente era Piddu Madonia (imputato nel processo) che era detenuto.

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All’improvviso l’incontro viene interrotto. “Ci vediamo la prossima volta” avrebbe detto Tinebra. E tutto è rinviato al 15 maggio 1996. Un incontro che non avverrà mai.

Caselli da disposizione a Riccio di recarsi in Sicilia e di iniziare a registrare le dichiarazioni di Ilardo in modo da avere già materiale utile per la futura collaborazione. Una richiesta che una volta posta all’attenzione di Tinebra – riferisce Riccio – non sarebbe ritenuta necessaria. Riccio però esegue gli ordini.

Seguono molti incontri nelle campagne catanesi e a Lentini vicino al casale che tanto amava Ilardo. “Trazzere, trazzere” Ilardo trasferisce un patrimonio inestimabile a Riccio che viene impresso in quelle cassette entrate a far parte degli atti dei processi di Palermo. Due episodi accadono dal 2 al 10 maggio. Riccio presterà dei soldi, anche con l’aiuto del capitano Damiano, a Ilardo per il rischio di una messa all’asta di una proprietà. 8 milioni delle vecchie lire è la cifra data in prestito.

Ma è il viaggio in Calabria di Ilardo e Riccio dall’avvocato Minniti che secondo l’infiltrato poteva dare importanti informazioni relativi ai rapporti tra Cosa Nostra e la Politica che mette ancora dubbi al colonello dei Ros. “C’era la possibilità di mettere la microspia a Ilardo per registrare l’incontro ma Mori non lo ritiene necessario”- racconta Riccio alla Corte.

Arriva il 10 maggio 1996. Riccio e Ilardo stanno insieme fino alle 13 circa. Il colonello Riccio incontra prima di partire per Genova e tornare a casa il capitano Damiano che manifesta la sua preoccupazione perché a Caltanissetta erano venute fuori informazioni in merito alla imminente collaborazione di Gino Ilardo. A insaputa del capitano Damiano Riccia registra quella conversazione. “Mi sono inquietato anche perché era la seconda volta che da Caltanissetta si erano diffuse queste voci”. Riccio prende il telefono e racconta a Mori di “questo fatto gravissimo”. Questa registrazione Riccio la consegna, parecchio tempo dopo, nelle mani dei pm Di Matteo e Ingroia.

Riccio atterra a Genova. Varca la porta di casa e trova la moglie davanti allo schermo della tv: Gino Ilardo è stato ucciso. Nessuno chiama e avverte Riccio che immediatamente compone il numero del generale Mario Mori e afferma: “Ecco l’esito di questa gestione”. In aula Riccio è lapidario: “Gestione raffazzonata”. Il teste si lascia andare anche a dei commenti del tutto personali. “Questa è una mia valutazione, ma era chiaro cosa era successo: c’era stata un’accelerazione su questa vicenda”.

 

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13 Marzo 2015, 18:22

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