05 Dicembre 2014, 06:25
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PALERMO – Il suo nome era stato fatto dai collaboratori di giustizia. Ora i carabinieri del Nucleo investigativo di Palermo dicono di avere trovato i riscontri alle accuse.
Sono certi che ci fosse anche Giuseppe Comparetto fra i sicari che uccisero Andrea Cottone. E sul capomafia di Ficarazzi, tornato in cella perché avrebbe ripreso il bastone del comando nel comune alle porte di Palermo, piove addosso l’accusa di omicidio.
Mario Cusimano, Stefano Lo Verso, Sergio Flamia e Francesco Campanella raccontarono le fasi dell’agguato. Sono stati loro a inguaiare un anno fa Ignazio Fontana, Onofrio Morreale e Michele Rubino arrestati con l’accusa di avere ammazzato l’imprenditore scomparso nel novembre 2002, a Ficarazzi. Cusimano riferì ai carabinieri del Comando provinciale di Palermo la fase preparatoria in cui Biagio Picciurro e Salvatore Pitarresi (allora alla guida di una cosca di Villabate rivale del clan Montalto di cui faceva parte la vittima) negarono il via libera per l’omicidio. A quel punto sarebbero stati scavalcati. Nicola Mandalà, che dopo l’arresto dei Montalto avrebbe preso il potere, si sarebbe fatto autorizzare da Bernardo Provenzano. Il padrino e il boss di Villabate venivano chiamati in causa solo da Cusimano. Ecco perché non sono mai stati coinvolti nell’inchiesta.
L’uomo incaricato di fare da esca per convocare Cottone all’appuntamento con la morte sarebbe stato Lo Verso che con la vittima condivideva alcuni interessi economici. Cusimano collocava l’omicidio all’inizio della stagione invernale ricordando un particolare: Cottone aveva addosso 4 mila euro in contanti e un assegno da sette mila euro. Soldi che Cusimano e Rubino, in parte, avrebbero utilizzato per comprare capi di abbigliamento firmati in una nota boutique del centro di Palermo. Sarebbe stato poi Mandalà, anche su questo non sono stati trovati riscontri ai racconti del collaboratore, a trasportare il corpo di Cottone nel luogo dove sarebbe stato sciolto nell’acido: “Ezio Fontana mi aveva detto che era stato in un deposito di marmo, all’inizio di Bagheria”. Confidenza che Fontana gli avrebbe fatto mentre erano “un poco brilli, un poco tirati”. Campanella aggiunse che Cottone era uno che dava fastidio “si stava allargando troppo, rompeva le scatole… va in giro, va dicendo, va facendo”.
E così sarebbe scattata la trappola a cui Lo Verso partecipò in prima persona. Non sapeva cosa stesse per accadere e probabilmente anche lui scampò alla morte. Ebbe la fortuna che un uomo, casualmente sul posto, lo avesse visto e salutato. E per evitare guai Lo Verso sarebbe stato risparmiato. Il collaboratore di giustizia riferì di avere convocato Cottone in un minigolf-pizzeria di Ficarazzi per discutere di alcuni furti subiti “perché Andrea cercava il muletto che gli avevano rubato a Enzo Lombardo, un muletto nuovo… a me mi avevano rubato la casa, ad Andrea gli avevano rubato che aveva all’entrata di casa sua due leoni messi, che dice che è un simbolo di potere, si presero questi leoni e se li portarono… a casa a Villabate”.
Poi, il racconto si faceva macabro: “Io a Michele Rubino lo conoscevo da vecchia data ma in quell’occasione quando sono entrato e l’ho visto che lui lo teneva per un braccio e l’altro per un altro braccio, mentre il Morreale c’era di sopra, io non l’ho riconosciuto, perché lui aveva, aveva questi capelli buttati tutti in avanti, tutto vestito di nero… successivamente quando c’è stata poi una mangiata alla fattoria di Spera, il Comparetto mi disse: non l’hai riconosciuto? Ci dissi: ma a chi? A Michele. Ed Ezio Fontana era coi capelli tagliati, che poi l’ho riconosciuto”.
Dunque, Comparetto compariva nel verbale di Lo Verso. La sua posizione si è aggravata con il pentimento di Sergio Flamia, uno degli ultimi a saltare il fosso a Bagheria: “Io sono uscito dal carcere, in una di queste passeggiate nel corso con Onofrio Morreale, non ricordo come va a finire il discorso su Andrea Cottone, c’era presente Giuseppe Comparetto, Carmelo Bartolone e mi sembra mio cugino Pietro pure… si vota Onofrio: un curnutu era, nuatru fuomu ad affucallu, un curnutu”. Lo avrebbero strangolato con una cintura. Poi il corpo sarebbe stato sciolto nell’acido.
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