14 Gennaio 2018, 05:50
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PALERMO – Lo hanno ammazzato “quattro sbirri”. Un omicidio che non doveva essere commesso perché, secondo Vincenzo Di Maio, anziano boss di San Lorenzo, Nicola Ingarao “era un galantuomo”.
Sono passati più di dieci anni, ma c’è ancora chi ricorda l’allora reggente di Porta Nuova. Lo assassinarono il 13 giugno 2007, in via Pietro Geremia, una stradina del rione Noce. Il commando attese che uscisse dal commissariato dove Ingarao era andato a firmare il registro della polizia. Scarcerato da pochi mesi si era ripreso il potere entrando in conflitto con i boss di San Lorenzo, Salvatore e Sandro Lo Piccolo, condannati all’ergastolo per il delitto. Fu un’eclatante lezione per Nino Rotolo, boss di Pagliarelli, di cui Ingarao era fedele alleato.
Di Maio parlava del delitto con Sergio Macaluso. Sono finiti entrambi in carcere nel blitz dei carabinieri dello scorso dicembre. Ed entrambi non hanno condiviso la decisione di uccidere Ingarao. “… perché Nicola che era … giusto?… dico se era tinto… ma quanti ce ne sarebbero…”, spiegava Macaluso. “Nicola era un galantuomo”, aggiungeva Di Maio. Ancora Macaluso: “… se sentenza si dovesse dare Nicola non era proprio una persona da sentenziare per quel poco che io”. Di Maio ribadiva il concetto: “Nicola era un galantuomo… quell’altro gli ha mandato quattro cornuti e sbirri… perché si sono fatti tutti sbirri…”.
Lo “sbirro” che ha svelato retroscena dell’omicidio è stato il collaboratore di giustizia Andrea Bonaccorso, il quale riferì anche dei “festeggiamenti” dopo l’omicidio. “Ci siamo visti a casa di Di Piazza dove abbiamo posato le armi – disse -. Eravamo tutti molto contenti. C’erano anche Sandro Lo Piccolo, Vito Palazzolo, Andrea Adamo. Ci siamo abbracciati e complimentati a vicenda perché era andato tutto bene. In particolare Adamo era felice di come mi ero comportato, perché avevo avuto sangue freddo. Per me era la prima volta”.
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14 Gennaio 2018, 05:50