05 Luglio 2013, 20:10
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CATANIA – Nuovi protagonisti nel processo per il duplice omicidio del capomafia della famiglia catanese di Cosa nostra Angelo Santapaola e del suo gregario Nicola Sedici. Toccherà al collaboratore di giustizia Salvatore Viola, spiegare, dopo la pausa estiva i legami e il contesto criminale in cui maturò l’omicidio dell’erede di Nitto Santapaola.
L’inizio della collaborazione di Viola risale al giugno 2012, periodo in cui l’uomo rese le prime dichiarazioni al pubblici ministeri. Legato in passato sia a Salvatore “Turi” Amato, cugino del capomafia Benedetto, ma anche ai fratelli Nizza per conto dei quali si occupava, stando a quanto ricostruito dagli inquirenti, dei rifornimenti delle piazze di spaccio. Un nome, quello del collaboratore chiamato a testimoniare, che per anni è stato vicino proprio ad Angelo Santapaola. Una vicinanza molto stretta soprattutto proprio nel periodo precedente al delitto, motivo per cui i pm Agata Santonocito e Antonino Fanara hanno chiesto alla Corte di poterlo ascoltare come teste. Viola ha già svelato dettagli fondamentali per la ricostruzione di un altro agguato, quello consumato ai danni dell’esponente del clan “Mazzei” Giovanbattista Motta, avvenuto nel giugno 2007. Un omicidio che sarebbe stato ordinato proprio da Angelo Santapaola per affermare la sua leadership intransigente, e sarebbe stato eseguito da Nicola Sedici e Luciano Musumeci. Secondo il collaboratore Santo La Causa, però, a dare il benestare definito sarebbe stato Enzo Santapaola, figlio di Nitto. L’omicidio di un esponente di spicco dei “Mazzei” avrebbe, infatti, spianato la strada per un depistaggio creato “ad hoc” da attuare successivamente con l’assassinio di Angelo Santapaola, avvenuto soltanto tre mesi dopo.
Il processo, in cui sono imputati il boss Vincenzo Aiello e Salvatore Dibennardo, titolare di una lavaggio auto a Palagonia, ha subito una netta svolta proprio con le rivelazioni dell’ex reggente Santo La Causa. Il pentito ha spiegato allo Corte, presieduta dal giudice Rosario Cuteri, cosa avvenne quella giornata del settembre 2007. Un mancato summit chiarificatore con i boss della famiglia palermitana di “San Lorenzo” Sandro e Salvatore Lo Piccolo in un macello dismesso sulla Catania-Gela dove la lupara bianca inghiottì i due uomini della mafia catanese. I corpi carbonizzati vennero ritrovati soltanto dopo qualche giorno in un casolare diroccato nelle vicinanze dell’abitato di Ramacca.
La Corte ha disposto il raffronto tre le tracce ematiche rinvenuti nel posto indicato da La Causa, dove si consumò l’omicidio e quelle già acquisite dal RIS di Messina nel luogo in cui i due corpi vennero occultati. Ad occuparsene come perito sarà Nicolò Polizzi, membro del Nucleo di Polizia Scientifica di Palermo. Una perizia balistica verrà, invece, effettuata sui bossoli calibro 9 rinvenuti dagli inquirenti. Riserva da parte della Corte invece sulla perizia richiesta dall’avvocato Salvatore Milluzzo, difensore di Vincenzo Aiello. Il legale ha avanzato la disposizione di una verifica tecnica sulle celle telefoniche che il giorno dell’omicidio agganciarono i telefonini degli imputati indicandone gli spostamenti agli inquirenti. Disposta infine l’acquisizione al fascicolo del processo delle fotografie scattate dal RIS durante il sopraluogo nel macello dismesso.
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05 Luglio 2013, 20:10