15 Luglio 2023, 04:55
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CATANIA – “Hanno ucciso mio fratello. Per me Timonieri era un fratello. Ci avevano sparato mentre eravamo assieme, la sera prima in viale Mario Rapisardi”. Si è difeso così Sam Privitera, uno dei due imputati ritenuti i mandanti dell’assassinio di Vincenzo Timonieri, ucciso e sepolto in una duna da due killer oggi pentiti. Il delitto risale al febbraio di due anni fa.
Difeso dagli avvocati Salvatore Catania Milluzzo e Andrea Gianninò, Privitera si è sottoposto all’esame dell’imputato. Assieme a lui, a rispondere è stato anche il figlio di Giovanni ‘banana’, ovvero Natale Nizza, un elemento di spicco del clan Santapaola Ercolano a San Cristoforo, ìanch’egli imputato e accusato di aver ordinato l’omicidio con Privitera.
I due, come detto, sono accusati dai pentiti Michael e Ninni Sanfilippo, principali testi dell’accusa, ma anche da altri collaboratori di giustizia. Privitera ha raccontato che la sera prima della sparizione di Timonieri era a Napoli assieme a lui. Ha detto di esser stato nel capoluogo partenopeo con Timonieri per quattro giorni. E ha aggiunto di aver saputo della sua sparizione e di aver temuto di essere ucciso egli stesso da qualcuno.
“Non mi spiegavo cosa stesse succedendo e sono rimasto chiuso in casa”, ha aggiunto. Il suo esame è durato all’incirca un’ora. Sessanta minuti in cui ha risposto alle domande dei suoi legali, ma anche del pubblico ministero e della stessa Corte d’assise, presieduta da Maria Pia D’Urso.
Ha sostenuto di esser stato legato da sentimenti di grande amicizia con Timonieri e soprattutto definito impossibile che lui partecipasse alla riunione in cui fu deciso di ucciderlo, dato che era a Napoli. La sera prima, poi, il caso della sparatoria. Disse di aver rischiato di morire assieme a lui il giorno prima, perché Timonieri avrebbe rimproverato un giovane che è tornato armato e si è messo a sparare.
Privitera, inoltre, per sfuggire ai colpi cadde dal motorino e dovette tenere il gesso per un mese alla gamba. L’imputato ha inoltre ammesso di aver venduto droga, ma solo droga “legale”, così ha detto, riferendosi a un tipo di marijuana con una percentuale di thc al di sotto del minimo per essere definita illecita. Ha detto di non aver mai venduto cocaina.
Nizza è difeso dagli avvocati Salvatore Pace e Luca Cianferoni. E nel corso dell’esame ha anch’egli respinto ogni accusa, mettendo in evidenza presunte contraddizioni o incongruenze del racconto dei pentiti. Dopo l’esame degli imputati, in aula è stata sentita l’ex compagna di Timonieri.
Il pentito Scavone aveva ipotizzato un possibile movente legato a una presunta relazione che la donna avrebbe avuto con Privitera, e il timore che Timonieri lo scoprisse. Lui l’avrebbe, stando alla convinzione del collaboratore di giustizia, anche sostenuta economicamente. La giovane però in aula ha negato seccamente.
Ha detto di non essere mai stata aiutata economicamente da nessuno, ma solo dalla sua famiglia. Ha negato di aver mai avuto alcuna relazione con Privitera. Il movente del delitto, secondo l’accusa, sarebbe stato legato alle ambizioni di Timonieri, che avrebbe voluto mettersi in proprio, approfittare dei propri personalissimi fornitori di droga napoletani e spacciare senza rispondere più al clan Nizza.
Un piano che ovviamente non poteva andare giù ai responsabili della cosca, i quali per questo avrebbero deciso di ordinarne l’assassinio. L’accusa si basa sulle indagini coordinate dai pm Lina Trovato, Rocco Liguori e Alessandro Sorrentino. A una delle scorse udienze hanno deposto i pentiti Salvatore Scavone e Silvio Corra.
Scavone è il collaboratore di giustizia, ex reggente del clan Nizza, che ha raccontato di aver sentito confessare di aver ordinato il delitto a Natalino Nizza. Si torna in aula l’11 settembre.
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15 Luglio 2023, 04:55