29 Settembre 2012, 18:19
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PALERMO- Chi è Franco Mineo? Per saperne di più, basta leggere l’articolo di Riccardo Lo Verso. Lo stesso Mineo si racconta, esprime il suo stile via intercettazione: “Maresciallo, io guadagno 300 mila euro l’anno con l’agenzia di assicurazioni? Non vorrei che il maresciallo pensasse? Trecentomila euro l’anno? Dichiarazione dei redditi? Venticinque appartamenti di proprietà? Quindi maresciallo abbia pazienza? Non è una vergogna essere ricchi…”. No, non è una vergogna essere ricchi, caro onorevole. Ma c’è modo e modo. E, nel suo caso, sussiste il retropensiero di rapporti poco cristallini, con sottofondo di boss e ombre che sarebbero un macigno per qualsiasi privato cittadino, figuriamoci per un uomo pubblico.
Ora però ci discostiamo dal tono comodo del lamento indignato al cospetto di una candidatura incommentabile. Vogliamo fuggire dalla tentazione di accodarci alla massa che grida: “E’ una vergogna”, come in effetti è. Non crediamo più all’innocenza del popolo. Le vicende parlamentari sono piene di Franco Mineo e affini, foraggiati, votati e assurti al soglio della rappresentanza grazie alla scelta libera di schiere di elettori. Gli stessi che si battono il petto, quando il potere la fa troppo grossa, non si accontenta più di una modica quantità dell’arroganza e preferisce esagerare. Nella storia politico-giudiziaria della Sicilia, Franco Mineo e i suoi simili comandano, regnano, organizzano. Finiscono stritolati per avventura, per un mero incidente di percorso, non per una presa di coscienza morale.
Nella Mineo’s story si intrecciano due forme simili di ipocrisie. Chi ha deciso questa candidatura, nonostante tutto, ha dimostrato inequivocabilmente quanto sia bugiarda la politica che giura su palingenesi e buona condotta. Sono promesse da marinaio, estorte dalla necessità contingente, non da una reale volontà di pulizia etica. Gli onorevoli Pinocchio si battono il petto, per una sindrome da Bastiglia, se avvertono che il clima intorno si è acceso tra Forconi e Grillini. Altrimenti, non è proprio il caso. L’inderogabilità del consenso pone il Palazzo davanti a un bivio: peggio sputtanarci di più, o candidare un cognome forte e indigeribile purchessia? E vince sempre la seconda ipotesi. In un Paese normale (sic) Franco Mineo sarebbe escluso dalla gara per la responsabilità collettiva. Magari temporaneamente, in attesa del responso di un tribunale. I sospetti sono troppo pesanti e travolgono quella giusta dose di garantismo che va considerata per equilibrio, con l’ovvia presunzione di innocenza.
Poi c’è la seconda ipocrisia, la faccia di bronzo intinta di sdegno. E’ la rabbia tardiva dei siciliani che, da mendicanti, hanno fin qui rosicchiato le briciole del tavolo del privilegio, dando in pegno il voto al caporione “Batman” di turno. La corruzione dei costumi e delle coscienze è un vizio di tutti. L’onestà è un valore che viene molto dopo – quando capita – la sostanza clientelare delle cose. Franco che parlava del maresciallo non è un alieno piovuto da un pianeta lontano. Non è un estraneo, un reietto. E’ solo l’altro nome, il marchio di fabbrica, della nostra democrazia.
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29 Settembre 2012, 18:19