11 Luglio 2017, 11:58
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PALERMO – E alla fine Crocetta si scoprì sicilianista. Lo ha fatto con un accorato video su Facebbok, richiamando all’orgoglio siculo, dopo quattro anni di Autonomia messa in un angolo, relegata nel ripostiglio angusto della realpolitk, delle necessità. Che si deve pur governare, stare saldi sulla poltrona di Palazzo d’Orleans.
Anche a costo, ad esempio, di rinunciare al diritto dei siciliani di far valere il proprio Statuto. Un diritto tolto da Crocetta all’Isola, per far quadrare bilanci che, stando agli slogan della rivoluzione, cinque anni fa, avrebbe dovuto risanare a sforbiciate. Anzi, mettendosi alla guida di una metaforica demolitrice: giù le partecipate mangiasoldi, giù i privilegi. Alla fine, le partecipate sono lì e costano sempre tanto, come ha messo nero su bianco la Corte dei conti, e lui, nel frattempo le ha riempite di fedelissimi, spesso non proprio fortunati nei confronti delle varie giurisdizioni di Sicilia. E i privilegi hanno seguito i flussi incostanti della doppia morale del presidente e del suo cerchio magico.
E così, sono state necessarie rinunce sanguinose. I contenziosi, per cominciare, ossia le cause che la Regione avrebbe potuto vincere incamerando molto più di quanto “concesso” dallo Stato. Ma anche sacrifici meno visibili: tagli alle spese, paletti strettissimi. Come si fa con i sorvegliati speciali.
E tra quelle concessioni, ecco persino l’obbligo per la Regione siciliana di recepire interamente le norme approvate a Roma. Dalla legge Delrio sulle Province, che il governo sta provando a copiare in bella rinunciando ai propositi “epocali” annunciati dalle Arene televisive, passando per la legge Madia. Scritte a Roma e recepite qui. Come se lo Statuto speciale non ci fosse.
Ma fosse solo quello, il problema. Crocetta chiama i siciliani alle armi (culturalmente parlando, si intende). “È una battaglia per la libertà e per l’orgoglio, facciamola insieme”, ha detto in un video a tratti irreale. Orgoglio a scoppio ritardato. Nessuna protesta, ad esempio, quando tra le ordinanze che di fatto hanno comportato un “commissariamento” della Regione sul tema dei rifiuti – altro settore nel quale la Sicilia si è interamente messa nelle mani di Roma – il Ministero ha chiesto al governo regionale di approvare con “solerzia” e di far esaminare dal parlamento la nuova riforma dei rifiuti. Insomma, non solo Roma avrebbe dettato e la Sicilia avrebbe scritto, ma il governo dell’Isola avrebbe dovuto persino “compulsare” il legislatore, finora scelto – con alterne fortune – comunque dai siciliani.
“Indietro non si torna”, la minaccia di Crocetta. Quelli che c’erano prima, non torneranno. Chissà se si riferiva all’ex assessore alla Sanità di Cuffaro, ossia Giovanni Pistorio che è stato suo assessore (con due deleghe diverse) per buona parte di legislatura, o chissà se si riferiva agli ex berlusconiani di Alfano che oggi sostengono il suo governo con tanto di assessore (dimissionario sine die) in giunta, o chissà se si riferiva ai tanti ex lombardiani che puntellano la maggioranza, che fanno parte degli uffici di gabinetto, che persino lui ha nominato o fatto nominare in carrozzoni e società partecipate regionali e provinciali. Chissà se si riferiva al suo braccio destro Beppe Lumia e al suo assessore all’agricoltura Antonello Cracolici che furono i più convinti sostenitori della seconda fase del governo Lombardo. Chissà se parlava dei tanti ex cuffariani, uomini eletti con Micciché, persino con Musumeci, messi lì a puntellare il suo potere sempre più fondato su incarichi e commissariamenti. E l’elenco è davvero lungo e variopinto.
Adesso, però, ecco che Crocetta sfodera l’orgoglio: “Roma non deciderà il prossimo presidente della Regione”. Dichiarazione da memoria corta, cortissima. Come se la stessa candidatura di Crocetta, nel 2012, non fosse stata la naturale realizzazione di un accordo romano tra Bersani e Casini, tra Pd e moderati. Ancora più “presente”, a dire il vero, è l’intervento romano oggi. Nella giunta. Dove siede, sulla poltrona dell’Economia, decisiva per le sorti della politica siciliana, un assessore che di siciliano ha nulla e che è stato scelto proprio nella Capitale dal Pd di Renzi per “dare una mano” a Crocetta. Un “bis”, a dire il vero,la nomina di Alessandro Baccei, perché mai come con Crocetta, si sono alternati tanti assessori all’Economia extrasiculi: in principio fu un altro romano, Luca Bianchi.
Ma Roma, dice Crocetta, ora deve stare fuori. Ora. Solo adesso. Perché Crocetta è diventato sicilianista. E ai siciliani sta chiedendo uno scatto d’orgoglio, una reazione. A cosa? Non si è ben capito. A meno che non si voglia ridurre quell’incitamento all’ennesima, triste puntata del dualismo a distanza con Davide Faraone. Così, un suggerimento forse potrebbe essere reperito sempre dall’ultima (mancata) parifica del bilancio: la Corte dei conti (sia la sezione di controllo che la Procura) ha “censurato” la disinvoltura con la quale il governo regionale ha ulteriormente indebitato la Sicilia, con una progressione e cifre mai viste. Indebitando i siciliani spesso per i prossimi trent’anni. “E’ un problema generazionale”, hanno commentato i magistrati contabili, puntando il dito contro i tre miliardi di nuovi debiti creati da Crocetta. Il sicilianista, appunto.
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11 Luglio 2017, 11:58