20 Febbraio 2020, 05:30
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PALERMO – Maestro di quella tattica che l’ha reso un gigante in mezzo ai nani – soprattutto per colpa di questi ultimi – anche stavolta Leoluca Orlando ha rimescolato le carte della giunta comunale da par suo, in un momento topico. La rivoluzione? Il cambiamento? La visione? Qui si fa come dico io – è implacabile il comandamento di Luca a cui basta agitarsi un po’ per atterrire i compagni di viaggio -. Beccatevi perciò un allargamento della squadra con gli assessori Arcuri e Marino, vecchie conoscenze del Palazzo, e l’assessore Petralia, giovane virgulto della politica, in odore di Sardine (ma il punto è assai controverso). Una mossa azzeccata, politicamente, a prescindere dalla qualità amministrativa arcinota dei fedelissimi e dalle speranze riposte nel nuovo arrivato.
Il Professore rinasce, come sempre ha fatto, dalle sue ceneri, con uno schema che si ripete: una spruzzatina di freschezza e l’esperienza consumata degli orlandiani, affinché il carro proceda senza ulteriori intoppi.
Sì, ma dove va il carro? E qui le cose si fanno più complicate, perché c’è di mezzo il destino di un’intera città, non soltanto l’alchimia per l’uso e la conservazione del potere nel manuale di un sindaco che, nell’arte appena citata, non conosce rivali.
Palermo è in un frangente acuto della sua disperazione e si può affermarlo, con tristezza, guardando le rughe che le scavano il viso, senza essere tacciati di vile partigianeria. Né basteranno a salvarla la retorica della bellezza e dell’accoglienza, virtù necessarie allo stato naturale, casomai deprezzate dalla gassosità della propaganda.
Palermo è i suoi marciapiedi impercorribili, le sue strade rotte, i suoi alberi appassiti, il suo ciaffico, la sua munnizza, la sua invivibilità che hanno da tempo sopravanzato il sollievo del folclore. Palermo è la sua gente afflitta, senza più trincee, senza stipendi e senza speranze che le cose possano, un giorno, risultare diverse. C’è qualcuno che, in buonafede, rifiutando i duelli rusticani tra opposte fazioni, potrebbe negare un simile quadro?
A una città così serve soprattutto un sindaco che affronti in profondità i suoi dossier più spinosi, che scenda in campo accanto ai cittadini per risolvere il risolvibile e per alleviare ciò che non è possibile risolvere. L’ultimo e non sfolgorante Leoluca Orlando – grande maestro del rimescolamento – la sfida del cambiamento dovrebbe magari giocarsela oltre i ‘rimpastini’ di Palazzo per riconciliarsi pure con coloro che l’hanno scelto, via via che gli anni passavano, con fiducia, con amicizia, con distacco e con rassegnazione. Forse è giunto il momento, per quanto il concetto suoni audace, che perfino lui provi a cambiare un po’.
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20 Febbraio 2020, 05:30