27 Febbraio 2013, 06:32
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PALERMO – E’ un effetto matrioska, una dissoluzione progressiva, uno scioglimento a cascata. Idv si scioglie in Rivoluzione Civile che a sua volta si scioglie come neve al sole dell’urna. Non resterà traccia del ribellismo di Antonio Ingroia che ha usato toni cruenti contro il Pd, accusando Bersani (invecchiato di dieci anni nella conferenza stampa consuntiva) di irresponsabilità. Ma le chiacchiere se l’è già portate via il vento elettorale. Nel dramma politico di Rivoluzione Civile se ne consuma un altro: la vicenda di Leoluca Orlando, ingroiano dell’ultima ora, salmeria preziosa aggiogata al carro e dispersa. Il sindaco di Palermo è un uomo solo al comando. Ancora di più dopo il responso del 24 e del 25 febbraio. Orlando è sfiancato. Presta una ormai flebile voce alla vertenza della Gesip. Assiste allo sfascio della città che amministra. Sognava un colpo d’ala come ai bei tempi. Almeno un segno di presenza, un bussare di nocche al tavolino della seduta spiritica che ha premiato il fantasma ruggente di Beppe Grillo. Invece, niente.
La morale della favola non cambia, non è mai cambiata. ‘Luca’ regna nel perimetro noto. Fuori non esiste. Non c’è. Non c’è mai stato. Ogni tanto il vecchio leone di Palazzo delle Aquile vagheggia prestigiosi ruoli extra-urbani. Ha detto in qualche occasione che potrebbe ben figurare da ministro. Vero, considerato il curriculum, se non fosse per la maledizione, per la scimmia sulla spalla. Orlando vuol dire Palermo. Stop. Nella sua Palermo – a sentire l’interessato – non è che sia andata malissimo, anzi, perfino bene, nonostante il Grillo imperante. Virgolettato: “A Palermo e nella circoscrizione Sicilia 1, Rivoluzione civile ha ottenuto il miglior risultato cittadino, provinciale e circoscrizionale in Italia; per altro nella città, nella provincia e nella circoscrizione in cui il Movimento 5 stelle ha ottenuto un record di consensi. E’ la conferma che il messaggio che mi ha fatto eleggere sindaco di Palermo con oltre il 74% di consensi, il messaggio che occorre andare oltre il recinto di partiti atrofizzati comincia ad affermarsi. Dobbiamo impegnarci per il futuro, da noi da tempo indicato con la Rete 2018, perché si possa costruire una proposta politica ampia, aperta che abbia come ‘partito’ di riferimento l’Italia”.
Forse. Dipende dal giudizio sui numeri. Il cinque per cento circa tra Camera e Senato basta per autorizzare una apprensiva soddisfazione? Sì, se si considera il flop complessivo della proposta di un ex magistrato che non è riuscito a spiccare il balzo parlamentare. No, se si valuta il dato con spirito critico. E se si pensa che Orlando, appunto, vuol dire Palermo. Nulla di più. Viviamo la parabola declinante di un Professore di razza che ha sprizzato scintille con la casacca locale addosso, mancando l’approdo in Nazionale. Eppure, i presupposti c’erano. C’erano, per esempio, quando, nei giorni della Primavera, Palazzo delle Aquile ribolliva come punto di riferimento di una rivoluzione che allora non si accompagnava all’aggettivo partitico “Civile”, raccogliendo consensi e appetiti mediatici. In fondo l’Ingroismo è nato molto dopo l’Orlandismo. C’era con ‘La Rete’, battezzata da uno slogan fortunato: “Se vinceRete, avrete giustizia”. Ogni punto magico è stato dissipato in una dimensione piccola e rintracciabile. Luca non è diventato il leader nazionale che avrebbe desiderato essere e che avrebbe potuto essere per cultura, carisma e visione. Acutissimo rimpianto.
Ci sono delle cause che hanno provocato e confermato un brillantissimo nanismo. Orlando è un accentratore, non concepisce il gioco di squadra, non tollera che altri lo coprano, sovrapponendosi. In precedenti esperienze, un terrorizzato assessore confessò al cronista: “Niente foto mie sul giornale, per carità. Altrimenti il sindaco si incazza”. La solitudine in politica non conduce a nulla. I grandi animali delle praterie romane posseggono la ferocia del capo e la disponibilità parallela di una macchina da guerra disposta al sacrificio, in vista dell’eredità. Orlando odia i successori. Ne ha bruciato a chili, ipotecando per anni le ambizioni del centrosinistra palermitano. Orlando sponsorizza Orlando. Non sa trasferire il suo bottino di voti ad altra figura, ammesso che si pieghi alla circostanza di pubblicizzare qualcuno che non sia egli stesso. Notizie in merito si possono chiedere a Rita Borsellino che prima l’ha avuto come compagno di trincea nella battaglia per le primarie e poi è rimasta stritolata dal peso di un alleato scomodo. Luca fagocita. Avanza, retrocede e miete vittime. Come Antonio Di Pietro che ha offerto le sue spoglie dimissionarie per placare gli dei del fallimento.
Sì, la ridotta anti-Grillo ha tenuto o forse no. Dipende da benevolenza o malevolenza, da partigianerie reciproche. La tendenza è però confermata. Re Leoluca non conquista nuove terre. A un amico avrebbe addirittura confessato il desiderio di lasciare, circondato com’è da problemi insormontabili, e l’orgoglio di non mollare. Noi scommettiamo che non mollerà. Rilancerà. Spiegherà le vele per scoprire il gusto primaverile di un’altra America. Alla fine resterà al suo posto. Qui, dove è sempre stato.
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27 Febbraio 2013, 06:32