Cronaca

“Ormai i cristiani sono sbirri” | Borgo, chi si è ribellato al pizzo

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13 Ottobre 2020, 15:49

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PALERMO – “Glielo dai un colpo di telefono a suo padre? Gli dici che c’è quel picciotto, quello che l’altra volta lo cercava…” Giovanni Zimmardi voleva essere chiaro col titolare di un cantiere edile e tramite il portiere dello stabile in cui era in corso la ristrutturazione di alcuni appartamenti, ribadiva così la richiesta di pizzo: “L’hai capito il discorso, evè? Fra dieci giorni…”

Tredici imprenditori denunciano

Un ‘discorso’ a cui ben tredici commercianti del Borgo Vecchio hanno deciso di non abbassare la testa, di dire ‘no’ per poi denunciare il pizzo. Una vera e propria ribellione che squarcia il muro di omertà in una delle zone di Palermo in cui la mafia ha sempre trovato terreno fertile, contando su un silenzio oggi rotto con fermezza dagli imprenditori. Cinque tra questi non si sono presentati spontaneamente, ma  hanno collaborato con le forze dell’ordine quando le indagini hanno permesso di risalire anche alle richieste ai loro danni. Ventidue in tutto, gli episodi ricostruiti dagli inquirenti, tra cui due estorsioni messe in atto col metodo del ‘cavallo di ritorno’. GUARDA LE FOTO DEGLI ARRESTATI

Il business del racket

La macchina del pizzo, secondo quanto emerge dall’inchiesta, veniva gestita da Angelo Monti, indicato come il reggente del popolare rione palermitano. Con la sua ‘regia’ si muovevano Giuseppe Gambino, a cui era stata affidata la cassa mafiosa, e un gruppo di boss pronto ad avanzare le richieste estorsive, formato da Salvatore Guarino, Giovanni Zimmardi, Vincenzo Vullo e Filippo Leto. I quattro non avrebbero esitato ad entrare in azione con minacce, violenza ed estorsioni nei confronti degli imprenditori che non volevano pagare.

Le vittime registrano le conversazioni coi boss

La cosca però sapeva bene che la mentalità è cambiata, emerge più volte, leggendo le intercettazioni, la consapevolezza di andare incontro a denunce e di rischiare il carcere con una maggiore facilità: “I cristiani o si fanno spioni, oppure annu abbuzzari“. Angelo Monti parlava delle scelte delle vittime, che erano due: denunciare o sottostare al racket. E lo ribadiva più volte, quasi con ‘nostalgia’: “Non è più come una volta, i cristiani sono tutti “sbirri“. E le denunce ci sono state davvero, con tentativi di estorsione raccontati con dovizia di particolari dagli imprenditori finiti nel mirino della famiglia mafiosa. In due casi, gli esattori del pizzo sono stati registrati tramite cellulare, con audio e video poi consegnati ai carabinieri. “Scendiamo con cannoni e pistole – dicevano i boss – il Borgo Vecchio è nostro“. E ancora: “Un pensierino… che… noi altri qua facciamo la festa qua… cose… ogni anno… due mila euro“. La maggior parte ha parlato di ‘strane visite’ ricevute all’interno dell’attività commerciale o al cantiere edile.  Come nel caso del titolare di una ditta che si stava occupando della ristrutturazione di una palazzina a pochi metri dal Borgo Vecchio.

Il racconto degli imprenditori

“Sono avvicinato almeno quattro volte da un soggetto che mi ha chiesto espressamente di voler parlare con il titolare – ha raccontato il figlio della vittima ai carabinieri -. Una volta saputo che era mio padre si è presentato in compagnia di un’altra persona, più giovane di lui e mi ha chiesto di assumerla come “uomo di fiducia”. Un richiesta che non aveva ottenuto alcun esito, ma che ha poi spinto padre e figlio a denunciare. Come nel caso di un altro imprenditore edile che si è rivolto ai carabinieri dopo avere subito un’intimidazione. La più classica per i boss che voglio ribadire la propria presenza sul territorio, quella con la colla nelle serrature. “Sono stato avvisato da un inquilino del palazzo in cui stiamo ristrutturando il prospetto – ha detto – perché ignoti avevano apposto dell’attack nel cilindro della serratura del portone di ingresso, che abbiamo poi dovuto sostituire”.

I carabinieri: “Basta al pizzo”

E le richieste non si fermavano: un altro commerciante ha raccontato di essere stato raggiunto da un giovane che più volte gli ha chiesto un “contributo  per i carcerati”, il titolare di un terzo cantiere ha invece denunciato il furto dell’attrezzatura nell’area di lavoro, dopo essersi rifiutato di pagare. Sedici, complessivamente, le estorsioni che la famiglia mafiosa del Borgo Vecchio ha tentato di mettere a segno negli ultimi mesi. Richieste di pizzo che non hanno rimpinguato le casse del clan, smantellato con venti arresti proprio grazie al coraggio dei commercianti, che oggi “ci hanno messo la faccia”, ha sottolineato il comandante provinciale dei carabinieri, Arturo Guarino. “Molti sono venuti spontaneamente a denunciare e noi li abbiamo tutelati – ha aggiunto -. E’ questo il messaggio che vogliamo dare alla città e a questa collettività. Si deve dire basta al pizzo. Noi siamo a fianco di chi denuncia”.

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13 Ottobre 2020, 15:49

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